A 34 anni dai loro inizi in un umile scantinato di Sheffield, i Pulp sono finalmente riusciti a suonare in Italia. L’attesa per l’esibizione della band di Jarvis Cocker è stata ampiamente ripagata durante un concerto lungo (quasi 2 ore) e intenso, che ha visto tutti i grandi classici della band suonati di fronte ad un pubblico in adorazione del loro carismatico frontman.
Ma partiamo dall’inizio. Di questa prima esibizione dei Pulp nel nostro Paese salta subito all’occhio la location decisamente surreale: per una band che negli anni ’90 dominava le frequenze di MTV ed è stata capace di vendere 10 milioni di copie dei propri dischi, il piccolo paesino friulano di Azzano Decimo è una scelta decisamente inusuale. All’arrivo non si può non rimanere colpiti dalle piccole villette ordinate e dall’atmosfera da sagra di paese, rispetto a cui il grande palco montato per l’occasione sembra quasi stonare, come se fosse stato catapultato da un altro luogo e da un’altra era. Un effetto decisamente piacevole, se paragonato ai grandi eventi rock a cui siamo ormai abituati, dove il pubblico viene spesso trattato alla stregua di bestiame da far pascolare tra palco e bar; qui siamo decisamente su un altro pianeta, e tra una canzone e l’altra c’è il tempo di rilassarsi sul prato, o spulciare le bancarelle di dischi alla ricerca dei pezzi mancanti dalla propria collezione.
Poi arriva il momento della musica: dopo l’introduzione affidata al duo milanese Orange, salgono sul palco i supporter Mystery Jets. Una vera rivelazione il set della band di Blaine Harrison, specialmente per chi (come me) non li conosceva: i cinque inglesi ripropongono dal vivo le melodie vincenti dei loro quattro album, tra convincenti arrangiamenti sixties e più di una strizzata d’occhio a band moderne come Shins, Teenage Fanclub e Spoon. Una ventata di allegria brit pop (rivisitata) che, unita alla fresca serata estiva, è stata capace di preparare al meglio il pubblico per l’arrivo dei Pulp, saliti sul palco poco dopo le 22.
Dopo un’introduzione affidata ad alcune misteriose domande che vengono proiettate sul palco, si accende la grande insegna colorata PULP e partono le prime note di Do You Remember the First Time? Si capisce subito che il concerto di questa sera non farà prigionieri: dal primo minuto Jarvis Cocker, nel suo elegante completo scuro, dimostra di essere ancora uno dei frontman più coinvolgenti in circolazione, con un repertorio di passi di danza, mossette e humour molto british che fa andare in visibilio le
prime file. Gli altri cinque dietro di lui appaiono invecchiati ma ancora molto affiatati, sia nei momenti più pop (la ballatissima Disco 2000), sia nelle astrazioni vagamente psichedeliche ed inquietanti di Acrylic Afternoons e I Spy.
Ma sono i brani a fare la differenza: per chi avesse dubbi sull’effettiva importanza dei Pulp nella storia della musica pop (quelli che ancora oggi li vedono come autori di un paio di singoli di successo e nulla più), è bastato ascoltare l’emozionante Something Changed o il ritmo scanzonato di Babies per accorgersi di come in pochi anni siano riusciti a scrivere una manciata di grandi, grandissimi pezzi, i cui meriti vanno ben oltre il successo di questo o quel singolo.
Al centro di tutto Jarvis Cocker, che per tutta la durata del concerto ha giocato a far indovinare i titoli dei brani con ironiche storielle raccontate tra un pezzo e l’altro, oppure sfoderando un intero foglio di frasi tradotte in italiano. Il tutto con grande intelligenza e ironia, non dando mai l’impressione di una routine provata e riprovata, quasi a confermare l’impressione di avere davanti un grande attore, oltre che un grande scrittore di canzoni.
Una scaletta praticamente perfetta ci ha fatto ascoltare quasi tutto Different Class e una corposa selezione da His ‘n’ Hers, mentre l’album “difficile” per eccellenza, This is Hardcore, è stato ricordato solo con l’esecuzione della magnifica title-track, che con le sue textures ricche e decadenti ha segnato il punto più alto dell’intero concerto. La conclusione è stata affidata a Bar Italia (“Abbiamo aspettato per 17 anni di poter finalmente suonare questo pezzo qui da voi”, dice Jarvis) e poi al prevedibile gran finale, affidato all’irresistibile ritmo accelerato di Common People.
Con l’entusiasmo del pubblico alle stelle, la band è tornata sul palco per un solo bis, visto che oramai si era vicini al coprifuoco di mezzanotte: Mis-Shapes ha chiuso il concerto con un altro inno cantato da tutti, e peccato se non c’è stato tempo per altri “pezzi da novanta” come Party Hard o Help the Aged.
Difficile separare le impressioni da fan da quelle da reporter, ma quello che resta è la sensazione di una reunion, una volta tanto, veramente necessaria: non solo perché Cocker e compagni non erano mai passati da queste parti, ma perché il loro messaggio anticonformista, quello strano miscuglio di pop, rock e disco che già ai tempi li rendeva mosche bianche nel panorama brit pop, ancora oggi resta impossibile da catalogare. Insomma: per quanto ci si possa provare, non si vede ancora nessuno che sia venuto a raccogliere la loro identità musicale, ed era ora che tornassero a reclamare il loro posto. Ora non ci resta altro che sperare in una reunion permanente…