Alla ricerca delle gemme nascoste della musica indipendente: riscopriamo i grandi album del passato che per qualche motivo rimangono ancora pressoché sconosciuti anche al grande pubblico indie.
Smart Went Crazy – Con Art (Dischord Records, 1997)
La scena musicale di Washington D.C. negli anni ’90 era una vera fucina di talenti fuori dagl schemi. L'ascolto della fondamentale compilation 20 Years of Dischord, che riassume la storia della famosa etichetta indipendente fondata da Ian MacKaye (leader di Minor Threat e Fugazi) nel 1980 mette in luce una miriade di band cresciute nel solco della tradizione punk e post-punk, eppure capaci di innovare, quando addirittura non di sovvertire, il paradigma dei tre accordi fast & loud che avevano fatto la fortuna della label nei primi anni ’80.
Tra questi gli Smart Went Crazy, quintetto guidato dalle voci di Chad Clark e Hilary Soldati, si segnalarono da subito per la loro proposta musicale ambiziosa e leggermente sacrilega: unire la potenza e la ferocia del suono post-punk ad uno spirito squisitamente “artistico”, che rifiutava la violenza fine a sè stessa prediligendo invece tempi sghembi, strumentazioni insolite e esperimenti strumentali. Se a questo si unisce una notevole perizia tecnica (praticamente la kryptonite quando si parla di punk!) e un livello di cattiveria e humor nero nei testi praticamente assoluto, si può capire come la loro scarna produzione (solo due album in altrettanti anni) sia caduta praticamente nel vuoto all’interno della scena dell’epoca.
Se l’anno precedente la band aveva messo le carte in tavola con il debutto Now We’re Even, il seguito Con Art rappresenta un passo da gigante, la più compiuta realizzazione del suono che la band aveva in mente fin dall’inizio. Due cose da segnalare, innanzitutto la durata: per un’etichetta come la Dischord, che ha fatto dell’economia (anche sonora) la sua bandiera, gli oltre 70 minuti dell'album devono essere sembrati un’eresia, tanto da far andare su tutte le furie gli stessi proprietari Jeff Nelson e Ian MacKaye, che si ritrovarono tra le mani il disco più costoso da realizzare nell’intera storia dell’etichetta; in secondo luogo la scultura in copertina, che, come già successo con la cover di Daydream Nation dei Sonic Youth, serve a rimarcare lo status di “opera d’arte” del disco e lo distingue da gran parte della produzione alternative dello stesso periodo.
Quello che c’è all’interno non fa che giustificare la scarsa modestia dei suoi realizzatori: il disco alterna staffilate punk (Exitfare, Immutable Beauty) a composizioni più ambiziose guidate dal violoncello di Hilary Soldati come Funny as in Funny Ha-Ha e la splendida A Good Day, unendo il tutto con una spruzzata di brevi strumentali (spesso completamente improvvisati) che, per una volta, non appaiono come riempitivi, ma amplificano il senso di smarrimento e sospensione espresso dagli altri brani.
Gli estremi della loro ispirazione artistica vengono riassunti mirabilmente dalle due versioni di D.C. Will Do That To You, che rappresentano il punto centrale dell’album: la prima una lacerante scheggia post-hardcore in stile Fugazi, la seconda un’amara ballata dedicata alla città che tanta importanza ha avuto per la scena Dischord.
Solo i pionieri Wire erano riusciti prima di loro ad abbinare così bene la sperimentazione alle forme squadrate del punk: il lato B (da Bullfighter a Tight Frame Loose Frame, passando per la tranquilla Song of the Dodo) è tutto un susseguirsi di invenzioni ritmiche e melodiche, arrangiamenti elaborati ed ingegnosi trucchi escogitati dalla produzione di J. Robbins e Don Zientara. Il tutto, come a dar fastidio ancora una volta ai puristi, si chiude con la breve e acustica Now We’re Even, seguita, perché no?, da quindici minuti di uccellini, anatre che starnazzano e altri "suoni della natura". Quello che si dice la calma dopo la tempesta…
Non è dato sapere se gli Smart Went Crazy sarebbero stati in grado di realizzare un album migliore di Con Art: poco dopo l’uscita nell’ottobre 1997 la band si spezzò in diversi progetti artistici, alcuni dei quali (Faraquet, Beauty Pill) hanno continuato ad incidere per l’etichetta di Washington. I rapporti con la Dischord però non sembrano essere poi così migliorati: di fronte ad uno status di culto che va crescendo man mano che passano gli anni, l’etichetta non ha mai ristampato l’album, che resta quindi praticamente introvabile al di fuori dei circuiti dell'usato.
Un vero peccato, dal momento che con le loro coraggiose provocazioni, gli Smart Went Crazy dovrebbero guadagnarsi di diritto un posto tra i grandi innovatori del post-punk, lassù dove Husker Du, Fugazi, Wire e Gang of Four sono ascesi già da tempo con i loro capolavori.
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