Qui sopra: foto di Lisa Barbieri
“Hi, we’re Lambchop from Nashville” mormora Kurt Wagner al microfono, seduto sul palco davanti a una platea asfissiata dal velluto delle poltrone, e non c’è dubbio che stia dicendo il vero. Quei sei disposti a semicerchio – la chitarra di Wagner, pianoforte, fiati, tastiere, basso e batteria – proprio non te li spieghi sul palco di un teatro, piuttosto davanti a una baracca di legno con un cartello cadente che recita “Bait shop”, magari con vernice scrostata, e loro seduti in veranda a chiamare “son” chiunque abbia almeno cinque anni in meno di loro. Perché nella musica dei Lambchop – una costante oscillazione tra i crismi del folk e del alt-country – si sente tutta quell’America popolare che giace tra New York e Los Angeles, e che difficilmente riesce, salvo revival e mode sporadiche, a raggiungere (e convincere) il pubblico di ascoltatori del vecchio continente.
Quello che però trascuro è che stasera la band del Tennessee porta in scena – nel vero senso della parola – Mr. M, l’album che nel 2012 li ha riportati all’attenzione del pubblico dopo un decennio molto ricco, e che costituisce una svolta nella produzione del sestetto: all’alt-country che li ha sempre contraddistinti subentra uno stile che è stato definito “psycho-Sinatra”; le atmosfere popolari del midwest si miscelano a toni più jazzy, che rievocano quei crooner bellocci e impomatati che tra i Trenta e i Sessanta incantavano il pubblico d’oltreoceano.
La scelta del teatro si spiega col brano d’apertura: If Not I’ll Just Die risuona attraverso il legno del palco e degli spalti; l’acustica raccolta del luogo chiuso ammorbidisce il suono disneyano dell’intro, lo arrotonda fino alla levigazione più completa. Wagner & soci sembrano sfiorare appena gli strumenti, quasi la musica fosse più suggerita che suonata: il delicatissimo fingerpicking della chitarra, il motivo appena sospirato dei fiati, le spatole che sfregano contro il rullante della batteria, tutto invita al raccoglimento e alla ricerca di un sound più elegante rispetto a quello degli ultimi lavori, come OH (Ohio) e Damaged, che trova la sua declinazione nell’atmosfera un po’ cupa ma intima del teatro. La voce di Wagner – con quella inflessione profonda alla Johnny Cash, che però non lo fa sembrare un poco di buono – risuona nel silenzio della platea, incanta il pubblico che aspetta ansiosamente il cambio di chitarra per esplodere in un fragoroso applauso.
A metà concerto, dopo altri brani dell’ultimo lavoro come 2B2 e Mr. Met non sono più convinto che questo genere di concerti in teatro siano buoni solo per Ligabue. La tracklist non si limita però all’ultima fatica della band: risale controcorrente ripercorrendo l’intera carriera del gruppo, disco dopo disco, fino all’esordio nel 1994 con I Hope You’re Sitting Down, ed è straordinario come anche i successi degli anni passati siano reinterpretati attraverso lo specchio deformante del nuovo sound Lambchop: all’insegna dell’intimità e della ricercatezza dell’ultimo lavoro, il gruppo dimostra –rinfrescando il proprio repertorio– di poter portare una ventata d’aria fresca in un genere altrimenti condannato a ripetersi all'insegna della tradizione senza innovazione.
Eppure quell’eleganza che punta più ad incantare il pubblico che a stordirlo di riverberi e overdrive rischia di costituire anche il punto debole dello show: la ricerca di un’atmosfera eterea può degenerare nel mutismo, e di tanto in tanto la musica sembra ingabbiata, come se non riuscisse ad uscire adeguatamente; quasi si spera che il fonico ruoti qualche manopolina e alzi un po’ il volume.
Ma non è che la constatazione sporadica di uno ossessionato da suoni e volumi; quando i Lambchop – un po’ stanchi per la serie continue di date che prima di Faenza li ha visti anche a Firenze e Padova – lasciano il palco, gli applausi certificano, al di là della nostra capacità di parlare l'inglese, che ne vorremo ancora. Eccome.
Qui sotto trovate la galleria di foto da noi scattate in occasione del concerto dei Lambchop al Castello Carrarese di Padova, lo scorso 20 giugno. Le trovate anche sulla nostra pagina Flickr!