Mogwai – Les Revenants (Recensione)

Mogwai – Les Revenants (Recensione)

2017-11-08T17:15:49+00:009 Aprile 2013|


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Scordatevi le esplosioni di chitarre: i veterani del post-rock tornano con una colonna sonora dimessa e malinconica, ma l'esperimento e' pienamente riuscito.

7/10


Uscita: 25 febbraio 2013
Rock Action Records
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Sul fatto che il post-rock si adatti particolarmente bene ad essere usato nelle colonne sonore non ci piove. Che la musica dei Mogwai, con la sua capacità evocativa quasi ineguagliabile, ne sia uno degli esempi ideali è altrettanto scontato. Così, dopo essersi già occupati della soundtrack del lungometraggio Zidane: A 21st Century Portrait, dedicato al celebre calciatore, e dello score del film americano The Fountain in collaborazione con il compositore Clint Mansell, il quintetto scozzese accompagna il telefilm Les Revenantsadattamento dell’omonimo film di Fabrice Gobert prodotto dalla francese Canal+, che racconta di una cittadina i cui morti ritornano misteriosamente a vivere per riprendersi il posto che avevano durante la loro esistenza.

Le quattordici tracce del disco potrebbero un po’ spiazzare chi si aspettava la viscerale rappresentazione delle emozioni allo stato puro cui i cinque scozzesi ci hanno abituato grazie all’uso delle loro ormai seminali scosse a base di feedback, delle esplosioni distorte che fanno sfociare la tensione strumentale precedentemente accumulata e dei repentini cambi di umore in stile Slint. In Les Revenants, infatti, domina la delicatezza e la pulizia del suono: i muri di chitarre degli album precedenti lasciano il posto ad arpeggi più minimali, scarne e malinconiche litanie di piano e synth e percussioni leggere. 

L’atmosfera creata è di una tensione sempre presente ma mai talmente forte da sfociare in drammatiche esternazioni, quasi ci trovassimo sospesi in uno spazio onirico nel quale i sogni, per quanto inquietanti e malinconici, non ci fanno mai svegliare di sobbalzo ma si susseguono l’un l’altro autoestinguendosi delicatamente. Parafrasando il chitarrista John Cummings, l’album sembra mantenere sempre una “calma inquietante”. L’esempio perfetto è l’introduttiva Hungry Face, senz’altro uno dei pezzi più riusciti, sostenuta da una melodia da carillon che l’accompagna per tutta la sua durata. I brani si susseguono così, lasciando nell’aria degli aloni a volte cupi (Jaguar e Portugal), a volte rassegnati (The Huts e Relative Hysteria) e a volte eterei come in Special N. L’unica eccezione è rappresentata dalla sorprendente ballata acustica What Are They Doing in Heaven Today? (unico brano cantato), cover del gospel di Washington Phillips che, come suggerisce il titolo, si interroga su cosa facciano i nostri morti una volta in Paradiso.

Sappiamo che i Mogwai fanno dell’istintività la loro arma migliore e sappiamo anche che non hanno alcun timore a uscire dal percorso tracciato in precedenza per disegnare traiettorie diverse. E’ anche per questo che quest’album mi piace. Chiaro, non lo potrei usare per animare una festa o come sottofondo per un video di downhill, ma dal momento che odio la prevedibilità non riesco a non apprezzare una band quando riesce a mostrare un nuovo volto, soprattutto all'interno di una carriera ormai così consolidata. Perciò non rimane altro che aspettare il prossimo capitolo "ufficiale" della loro produzione, augurandosi che sia in grado di regalarci lo stesso stupore.