Suede – Bloodsports (Recensione)

Suede – Bloodsports (Recensione)

2017-11-08T17:15:49+00:0030 Marzo 2013|


Suede Bloodsports
Dopo undici anni di silenzio Brett Anderson vuole indietro il suo demone, ma non sempre il passato ritorna con lo stesso splendore.

6,5/10


Uscita: 18 marzo 2013
Warner Bros. Records
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A distanza di ben undici anni dal semi-flop di A New Morning, noto anche per essere il loro primo album in assoluto realizzato senza uso di droghe, e a seguito della discussa reunion del 2010, Bloodsports è un album carico di aspettative per tutti i fan più fedeli dei Suede. In vista dell'uscita Brett Anderson, anima glam-dark e front(cover)man, ha infatti dichiarato che avrebbe fatto "qualsiasi cosa fosse stata necessaria per riavere indietro il suo demone", promettendo per il nuovo lavoro un sound a metà tra due tra gli album più famosi della scuderia Suede, ovvero Dog Man Star e Coming Up.

Bloodsports si apre effettivamente con una cavalcata epica, Barriers, un intreccio di echi e riverberi che da principio avanzano col passo celebrativo, quasi compiaciuto, di un pregustato, trionfale ritorno. E che rimandano allo stesso tempo a ricordi di tempi lontani, con i testi declinati al passato ("we jumped over the barriers") e il retrogusto nineties al sapore di amori tormentati o finiti à la Placebo, insieme a grida di battaglia rarefatte in lamenti, la cui eco si estende fino alla irish countryside dei primi U2.

La premessa è quella di un album "about lust", come dichiara lo stesso Anderson: "la lussuria, la caccia, e l'interminabile gioco carnale dell'amore". Premessa confermata nella successiva Snowblind, altra canzone d'amore sofferto, fotografato in un attimo illuminato da "roman candles" e quasi proibito dai pettegolezzi gettati da quelle stesse ombre. La conferma delle solite tematiche arriva senza troppa difficoltà, data la rinnovata presenza di anice nei testi: c'erano già "Aniseed kisses in lipstick traces" in Barriers, qui invece "There's aniseed and you're laced with kisses"… sambuca per tutti?

A ricordare ancora gli anni '90 e quella sorta di diffuso disagio e senso di inadeguatezza che li pervadeva, c'è l'attacco di It Starts And Ends With You, così pericolosamente simile a quello di Creep dei Radiohead, nonché la generica creepiness delle situazioni descritte e delle immagini, che comprendono attaccature dei capelli intraviste in un termosifone, sputi nel vento e ginocchia liquefatte.

Sabotage va a sigillare, con un velo di tristezza, la poetica tipicamente Suede dell'amore impossibile e vittimista, il tormento autoinflitto. Finora lo spessore musicale non emerge più di tanto, e pare quasi volutamente ridimensionato e affondato in "grondaie, canali di scolo e bidoni della spazzatura" per favorire gli intrecci vocali sulle parole degli amori sbagliati, pronunciate con le "labbra come semafori sul cuore" di For The Strangers.

Si avverte però un improvviso risveglio in Hit Me, che tenta un ritorno alla freschezza dei primi album, con una batteria quasi più energica che in We Are The Pigs, i riff di chitarra lasciati liberi di circolare e uno spensierato la la la nel ritornello. La stessa libertà vigilata pervade la ballata Sometimes I Feel I'll Float Away, ma la presenza costante dei vocalizzi riverberati di Anderson torna in What Are You Not Telling Me, insieme alla paranoia, che poi diventa noia totale con Always, lamento appunto interminabile per gli "interminabili giochi carnali dell'amore".

Faultlines, quasi ironicamente per via del titolo, chiude quello che avrebbe dovuto essere l'album del "grande ritorno", della celebrazione dei tempi d'oro del glam pop made in britain che valse agli "scamosciati" un posto di riguardo agli occhi della critica internazionale e nei cuori dei fan. Con una punta di amarezza, la nostalgia in Bloodsports è tanta, ma sembra celebrare solo un "pallido tramonto", e non senza presa di coscienza.

Tuttavia c'è da dire che, in un modo quasi perverso, la sensazione di decadenza che permea l'intero disco ha un suo fascino particolare. E' come per la sambuca in fondo, si apprezza con un certo senso bohemien, da bevitori di assenzio, oppure si detesta e si evita cordialmente. Una scelta frivola, se vogliamo, ma dannatamente glam-pop.