E' la prima volta vedo dal vivo Cat Power e penso che questo faccia la differenza. Mi sono innamorata della voce di Chan Marshall all'epoca di You Are Free, eppure pare che proprio quello sia stato il periodo peggiore per la cantante di Atlanta, così come per gli spettatori. Mi hanno raccontato di concerti disastrosi, di palchi abbandonati dopo 4 o 5 brani cantati a fatica da una Chan barcollante e ubriaca.
Ma ora è tutto cambiato, dicono le voci. Chan l'anno scorso è andata a Parigi, si è tagliata i capelli e in soli tre giorni ha registrato Sun, il suo disco della rinascita. A me non è piaciuto granchè, con tutti quei synth e quelle drum machine, ma forse sono io che sono troppo esigente e non sono riuscita a trovarci dentro l'anima. L'importante è che ora stia bene, che l'ennesima delusione amorosa (quella ricevuta dall'attore Giovanni Ribisi, compagno di tanti anni) non l'abbia fatta sprofondare di nuovo. Del resto, se è vero che la maggior parte dei miei artisti preferiti quando è felice smette di fare dischi splendidi e si accontenta di fare album carini, a me va bene così, sono felice di saperli finalmente in pace con loro stessi.
Il Carroponte è un posto strano, un piccolo e grazioso parco che sorge magicamente in mezzo ad uno scenario industriale desolante. Prima del tramonto sale sul palco l'australiano Scott Matthew. Ho un debole per gli omini gentili dalla lunga barba scura così assisto incantata alla sua breve esibizione. Scott ha una gran bella voce ed intona una serie di languide cover accompagnandosi solo con la chitarra o l'ukulele. Saluta cortese e se ne va, scende la notte e noi aspettiamo che arrivi Cat Power.
Aspettiamo tantissimo in effetti, talmente a lungo che ascoltiamo un intero album degli xx quasi due volte. Finalmente arriva: sale sul palco camminando un po' storta e tenendo una sigaretta in una mano e un bastoncino di incenso nell'altra. Arriva vicino al pubblico e lancia tra la folla entrambi, accesi. Si sentono le prime note di The Greatest e il pubblico applaude, Chan se ne sta lì in piedi, sorride e si guarda attorno con l'aria completamente persa, sono sicura che tutti si stanno chiedendo con paura se sia ubriaca o se stia male. Poi prende in mano il microfono e iniziano i 10 minuti più struggenti che credo di aver mai vissuto ad un concerto in vita mia. La voce di Chan è così diversa dalla canzone originale, calda e profonda ma terribilmente roca, fumare un milione di sigarette evidentemente ha le sue conseguenze. Lei tiene gli occhi bene aperti e continua a sorridere in maniera quasi irreale mentre canta che "una volta voleva essere la più grande", e mi vengono i brividi. Una volta, mi verrebbe da chiederle, e adesso? Adesso mi sembra una donna distrutta dalla vita, consapevole delle sue continue sconfitte interiori, che in quel microfono riversa tutta la sua amarezza e la sua disillusione, ma sembra farlo in maniera gloriosa, quasi come se nella sconfitta e nel dolore ci fosse qualcosa di terribilmente grande e immortale, che nessuna vittoria potrà mai avere. Quando il primo brano finisce, dopo un crescendo intenso delle due batterie, mi sento lo stomaco stretto e un nodo in gola che so non si scioglierà per molto tempo. L'emozione che è riuscita a darmi questa donna in dieci minuti scarsi è tale che per me il concerto potrebbe anche finire qui.
Il resto dell'esibizione in effetti scivola via, mentre vengono proposte praticamente quasi tutte le canzoni di Sun. Chan si toglie il giubbino di pelle, rimane in maglietta, si infila quello di jeans, ognuno con lo stesso misterioso simbolo disegnato sulla schiena. Sorride spesso, e saluta il pubblico come se non si ricordasse di averlo già salutato. A vederla così, con i suoi capelli corti biondissimi e le sigarette che continua ad accendersi (e a lanciare fra la folla) mentre fa ballare il pubblico con Cherokee e con una bellissima versione di Manhattan, sembra quasi che ci sia riuscita, che abbia abbandonato la vecchia Cat Power dai capelli lunghi e il country blues per diventare nuova, diversa. Eppure dietro questa immagine più rock e quasi sciamanica si nasconde sempre lei, Chan: è tutta in quella voce sofferente che sembra provenire direttamente dallo stomaco e riesce a sciogliere anche le pietre. Qualche momento qui e lì, come la splendida doppietta Metal Heart e Shivers (cover dei Boys Next Door) la smaschera e allora ci ritroviamo di nuovo in balia di tutto quel dolore.
Quando tutto è finito, dopo un'ora scarsa di concerto, Chan cammina un po' barcollante da una parte all'altra del palco. Lancia al pubblico una decina di rose bianche, le setlist del concerto, degli strani foglietti di carta, bottiglie d'acqua, fazzoletti e qualsiasi cosa sia lanciabile, mentre continua a sorridere, a fare degli inchini e ciao con la mano. Non sono riuscita a capire questa sera se la svolta di Cat Power sia riuscita davvero, ma la ammiro per averci provato, anche se il nuovo equilibrio raggiunto mi sembra terribilmente fragile. Quello che sta cercando, qualunque cosa sia, Chan Marshall non l'ha ancora trovato, e probabilmente, lei lo sa, non lo troverà mai.
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Scaletta:
The Greatest
Cherokee
Silent Machine
Manhattan
Human Being
King Rides By
Bully
Angelitos Negros (Eartha Kitt cover)
Always On My Own –
3,6,9
Nothin' but Time
Metal Heart
Shivers (Boys Next Door cover)
Peace and Love
Ruin