Con l’eccezione dei primi due dischi (usciti l’11 marzo), tutti gli altri sono nei negozi dal 12 marzo.
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[space height=”10″]John Grant: Pale Green Ghosts
Ecco un altro classico esempio di artista-che-dovrei-conoscere che per qualche strano motivo non ho mai preso in considerazione. Di John Grant infatti io fino ad ora ho visto solo foto e non ho ascoltato nemmeno una nota, quindi giudicherò in base a quello che ho visto: anche se sulla copertina sfodera un vestito da beccamorto del sud, ha la barba e l’aspetto rustico di un Bon Iver meno fighetto, quindi immagino che faccia ruvido folk rock in salsa anni 2000. Eh sì, mi potrebbe piacere…
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[space height=”10″]The Cribs: Payola
Qualche anno fa sembrava che i Cribs dovessero farci dimenticare i loro trascorsi da indie punks: Men’s Needs… aveva delle intuzioni veramente geniali e i cameo giusti (uno su tutti: Lee Ranaldo dei Sonic Youth), poi era arrivato Johnny Marr e tutto sembrava pronto per farli diventare una grande band. Sappiamo tutti invece come è andata a finire: l’album che doveva segnare la loro consacrazione, Ignore the Ignorant, ha deluso quasi tutti, Marr se ne è andato e i tre Jarman sono tornati a macinare canzoni nella semi-oscurità. Il che non significa che non siano bravi, ma prima di andare a comprarmi questa raccolta di singoli e B-sides io ci penserei due o tre volte…
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[space height=”10″]Various Artists: Sound City – Real to Reel
Di questa colonna sonora se ne parla da mesi, anche per l’enorme sforzo mediatico del regista Dave Grohl, che ha addirittura messo in campo una REUNION DI NIRVANA E BEATLES per promuoverla. Ora che la tempesta di grandi nomi si è un po’ calmata possiamo riflettere un po’ più a mente lucida, e il responso è: non ne vale veramente la pena! Al di là di una collaborazione tra Grohl, Josh Homme e Trent Reznor (che comunque verrà replicata sul nuovo disco dei Queens of the Stone Age), gli altri brani sono accozzaglie di gente messa lì un po’ a caso (Stevie Nicks dei Fleetwood Mac, la sezione ritmica dei Rage Against the Machine, i Foo Fighters, Rick Nielsen dei Cheap Trick, Rick Springfield) e fatta suonare nella stessa stanza. Speriamo che almeno il film meriti…
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[space height=”10″]David Bowie: The Next Day
Il più inaspettato e gradito dei ritorni di questo 2013 ci offre un Duca Bianco a cui i dieci anni di silenzio sembrano aver fatto bene: innanzitutto non ha paura di confrontarsi con il suo illustre passato (a partire dalla copertina), ma le prime anticipazioni ce lo fanno ascoltare in forma sia come compositore, sia come interprete. Certo, non si può pensare di vederlo tornare ai livelli di quarant’anni fa, ma siamo ad anni luce di distanza dai suoi pessimi album degli anni ’90 e 2000. Bentornato!
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[space height=”10″]Eric Clapton: Old Sock
Ecco invece uno che potrebbe anche ritirarsi definitivamente: una leggenda vivente come Clapton (che, ricordiamo, già negli anni ’70 veniva paragonato a Dio sui muri di Londra) avrebbe potuto amministrare con saggezza il suo repertorio negli anni a seguire, invece si è impantanato in una serie di album senza senso, interrotti solo sporadicamente da qualcosa degno di nota (principalmente cover, comunque). Negli ultimi anni poi (diciamo dopo l’Unplugged del 1993) la sua situazione è peggiorata e continua a sfornare dischi in cui rilegge i bolsissimi cliché del blues di quando era ragazzino, come temo sia anche su questo nuovo album. Caro Eric, ti do un consiglio da mezzo fan: lascia riposare la tua slowhand una volta per tutte…
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[space height=”10″]Devendra Banhart: Mala
Torna Devendra e sembra farlo con le migliori intenzioni dopo il mezzo disastro major di What Will We Be: un nuovo contratto di qualità (con la Nonesuch, etichetta dei Wilco), un’ immagine ripulita e la sua nuova musa, l’artista serba Ana Kras, ad ispirarlo. Da quello sentito finora potrebbe essere il suo disco più romantico, ma poi ci canticchia qualcosa tipo “Se mai faremo l’amore un’altra volta sono sicuro che sarà disgustoso” e riconosciamo il freak di una volta…
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