Ariel Pink – pom pom (Recensione)

Ariel Pink – pom pom (Recensione)

2017-11-08T17:15:45+00:0027 Dicembre 2014|


Ariel Pink pom pom
Il re dei troll torna con un nuovo, fastidiosissimo disco-blob, che riesce ancora una volta a far emergere tante piccole gemme dalla retro-spazzatura anni '70 e '80.

8/10


Uscita: 17 novembre 2014
4AD Records
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Ignoto ai più, e spesso a stento tollerato – quando non apertamente detestato – dai pochi che ne scoprono l'esistenza, se non per la musica almeno per i battibecchi su Twitter con le 'vere' popstar e le dichiarazioni da gattaccio irriverente a mezzo stampa, Ariel Marcus Rosenberg (meglio sconosciuto come Ariel Pink) è tornato a dare fastidio con un nuovo, irritante album.

"That's my talent. I make people feel uneasy"

Noto (ai soliti quattro gatti) per la sua carriera di musicista lo-fi pop fai-da-te – avviata nella sua stanzetta a fine anni '90, portata alla luce da alcuni entusiasti membri degli Animal Collective (che lo hanno accolto nella loro Paw Tracks Records) e successivamente espansa grazie alla collaborazione del 'collettivo musicale' Haunted Graffiti – Ariel giunge con questo album al terzo lavoro in casa 4AD, dopo Before Today (2010) e l'ottimo Mature Themes (2012).

"People boo me everywhere…They don't even hide their contempt. I'm used to it now…"

Il genere di pop che gli appartiene è più – come lui stesso dichiara – "Pop in un certo senso sperimentale, musica pop per l'era sbagliata, o semplicemente pop per la mia mente, adatto a me, non per chiunque altro". Per farla breve, è un amalgama retro-nostalgico e simil-futurista di bagliori synth anni '80 e soft rock mellifluo anni '70, il tutto servito a temperatura ambiente e accompagnato da una o due di quelle risate che si fanno tra sé e sé. Così per quest'ultimo disco, che vede in copertina 'pom pom' scritto col magic marker su sfondo rosa confetto. A essere distratti si può inavvertitamente leggere 'porn porn', senza neanche sbagliarsi troppo sull'eventuale significato recondito del tutto. La versione web della rivista glam-pop per eccellenza di quest'ultimo secolo – Vogue – si è infatti un po' distratta e ne ha fornito una descrizione in parte verosimile:

"Se metti 1989 di Taylor Swift in una di quelle vecchie lavatrici che fanno un sacco di schiuma senza separare i bianchi dai colorati, ottieni pom pom."

Dimenticando di aggiungere un po' di Frank Zappa nel cestello dell'ammorbidente e una pastiglia di Captain Beefheart anticalcare – e di rimuovere Taylor Swift prima di ogni lavaggio. Non stirare, non candeggiare, non asciugare. Anzi non lavare proprio che è meglio.

pom pom sarebbe in teoria il primo album veramente 'solista' di Ariel Pink, ma unicamente per il fatto che non si fa menzione dei suoi Haunted Graffiti: “Ariel Pink never really existed because he was always Ariel Pink's Haunted Graffiti, but then people started doing interviews with Ariel Pink as if Ariel Pink existed. But this record is technically the first Ariel Pink record. I finally came to terms with myself as Ariel Pink.” – ha spiegato il musicista, aggiugendo anche che anche in questo caso si tratta di un “group effort, more than ever”. Questo perché, oltre ai membri dello storico collettivo, si sono aggiunti molti altri collaboratori, tra cui Jason Pierce degli Spiritualized, Jorge Elbrecht dei Violens e il leggendario Kim Fowley, ora 75enne, divenuto famoso per aver inventato il gesto di far oscillare fiammiferi e accendini durante i concerti, nonché per essere stato il disastroso manager delle Runaways negli anni '70. Fowley, nonostante la sua presenza attiva in diverse tracce dell'album, per problemi di salute ha dovuto però cedere il posto all'ex batterista dei Germs Don Bolles per la co-produzione.

Ed è proprio di Fowley la linea vocale del pezzo che apre l'album, Plastic Raincoats in The Pig Parade, che suona un po' come la sigla demente di un cartone animato che nessun bambino ha mai avuto davvero voglia di guardare, e che tratta di cocaina in maniera più esplicita di quanto non abbia fatto la sigla di Pollon:

“And then he (Fowley) just [starts singing], ‘The sky was white and black and polka-dotted / Must have been an Ariel daaaa-y.’ But I could hear it — I could just totally hear where his brain was going. And I mean, that was the last time he had heard those songs. He essentially just threw ‘em out there and it was up to me. I sent him the songs soon after we did them and he was like, "Oh, did I do that?”

Il senso di irritazione è totalmente reale già sin dall'inizio, ed è forse superfluo dire che è proprio questo l'effetto desiderato, oltre a quello di creare un mondo da osservare con occhiali rosa 3D infilati su bionde trecce, occhi azzurri e poi. Magari è bionda anche la Bar-B-Cutie di White Freckles, immortalata mentre scolora le sue lentiggini a colpi di raggi UV con le finte abbronzature dei saloni di bellezza. Eppure Ariel Pink è il re dei troll, e quando trolla lo fa con classe: con la classe dei passaggi retro-synth nei cori da canti gregoriani tanto cari anche al devoto discepolo John Maus (giovane allievo, collaboratore e filosofo) e con la non-classe tipica di tutti quei d-sgraziati che finiscono per indignarsi sul serio e si rovinano l'acconciatura.

Ne è stato un esempio magistrale lo scambio di tweet al bicarbonato tra il Nostro e le reginette del pop Grimes e Madonna, rispettivamente peso piuma e peso massimo di quella fetta d'industria discografica in cui se non stai attenta alla linea e mangi troppa poca torta, finisci nel dimenticatoio. Pare infatti che qualche tempo fa la Interscope abbia contattato Ariel per conto di Miss Ciccone, per discutere di una possibile collaborazione circa la scrittura di alcuni brani. Pink ha reagito "a modo suo", declinando l'offerta neanche troppo gentilmente: non gli andava di essere uno dei tanti 'yes-men' che gravitano attorno alla Material Girl e alle sue "ossessioni di dominio narcisistico del mondo". Apriti cielo: ciò è bastato a Grimes per lamentarsi su Twitter dell'atteggiamento 'misogino'. Ed è bastato al manager di Madge Guy Oseary per fargli twittare che boh questo Ariel Pink non sappiamo nemmeno chi sia, e che comunque 'M' non ha 'alcun interesse a lavorare con le sirenette'.

"It's not illegal to be an asshole.
It's not illegal to be racist, even.
It's not illegal to do anything."

E siccome appunto niente è illegale, niente è impossibile e tutto è concesso nel plasticoso universo di pom pom, non è nemmeno così difficile immaginare un cross-dressing di generi, che si susseguono in un caleidoscopio casinista di travestimenti come in un drag-queen show da festa delle medie: dalle melodie finto-metal di Four Shadows (in cui ritroviamo nuovamente le sonorità care a Maus mescolate a echi doom à la Type O Negative e power metal à la Dio – e coretti e versacci) al glam pop zuccheroso di Lipstick (in cui su melodie appena zufolate si canta però di omicidi causati da rossetti un po' troppo rossi e passioni un po' troppo accese); dal classico pop anni '80 di Not Enough Violence (che fonde egregiamente i vari stilemi tipici di gruppi come Chameleons o Comsat Angels a incursioni EBM – genere Grauzone, Cabaret Voltaire, Depeche Mode), e in cui tra l'altro si fa dell'ironia sulla facilità con cui ci viene somministrata regolarmente 'violenza' reale e artificiale, mediatica – al cheesy pop senza età di Put Your Number in My Phone, dove l'ironia diventa facilissima e si rivolge alla grande industria dei sentimenti prefabbricati che vuole vederci a tutti i costi 'accoppiati', con felici prospetti di intimità, batticuori, languori e romanticherie varie. Ariel ci dimostra come è possibile scatarrare su tutto questo con un breve messaggio lasciato in segreteria – è la sua visione iperrealista delle cose, dopotutto (e la sua personale distorsione di hit mondiali come Call Me Maybe). Da notare tuttavia che immediatamente dopo troviamo One Summer Night, dalla melodia ipnotica e cupa, pur nella sua apparente spensieratezza, dove il cinico Pink si lascia andare a un'ammissione di autoironica amarezza:

Fantasies and fallacies
Are fairy tales and lies
Time is running out
Yeah
Better write these lines

E ancora, dal fastidiosissimo jingle commerciale di Nude Beach a Go Go (scritto in collaborazione con Azealia Banks e pensato per un pubblico probabilmente dai 5 anni in giù) alla cafonaggine voluta di Goth Bomb (che potrebbe essere la colonna sonora di una pubblicità di robottoni per emo-kids – o l'ipotetica suoneria del cellulare di Skeletor dei Masters). Dal mischione electro-sperimentale di Dinosaur Carebears (che ricorda una parodia di gruppi un po' oscuri e remoti come Snakefinger e Renaldo & The Loaf, ma con Battiato e Peter Gabriel alla voce a giorni alterni, e space dub cosmico a chiudere) al degenero finale totale nel caos sonoro interstellare di Negativ Ed, forse il brano più inascoltabile in assoluto, che sfocia nell'altrettanto fastidiosa Sexual Athletics e raggiunge l'apice di molestia acustica ai danni dell'ascoltatore in Jell-O, definibile unicamente come un'americanata epica buona per le televendite dei beveroni energetici per culturisti.

In mezzo a tanta 'spazzatura' capita però di trovare piccole gemme, come Black Ballerina – una catchy tune uscita dritta dagli anni '80, piena di scioglilingua e giochi di parole, con un geniale ritornello in ode ai produttori di ascensori, 'elevators, manufacturers':

C'mon don your doggie collar
Bet your bottom dollar
C'mon take your bra and panties off
Yeah, juicy Belladonna
Pardon Mrs. Dolly Parton
Condoleezza, turn me on
Bet your bottom, Dolly
Wrapped in dollars all I gots to spend  

Oppure Picture Me Gone, brano che nella sua estrema innocenza, e senza pretenziosità, racconta beffardo di come alle generazioni future rimarrà davvero poco di positivo da ricordare di questa nostra, dove tutto è virtuale, dove di noi non resterà nemmeno una fotografia vera, stampata, da guardare. Una versione 'acustica' di questo brano tra l'altro è stata realizzata dai bambini del coro PS22 di Graniteville (NY), diventato famoso nel 2007 grazie al blog creato dal loro insegnante di musica: la sorpresa è stata per Pink sentirsi dire da uno di loro, con tutta la spontaneità che può avere un bambino di 7 anni, che 'in futuro, quando muori, penso che dovrebbero chiamarti una leggenda'.

E' grazie a intermezzi brillanti come questo che si sopportano brani senza senso come Dayzed Inn Daydreams o Exile On Frog Street, che per quanto sia stato descritto come un omaggio scherzoso al Jim Morrison di Celebration of The Lizard, fa davvero molta fatica a superare l'imprinting di accozzaglia di suoni presi a caso dal Grillo Parlante o dai giochini prescolari della Fisher Price. Per non parlare del sample delle musichette Disney. Tutto comunque estremamente divertente, se guardato dalla giusta angolazione – quella del ranocchio.

Si può dire che l'errore più comune che si potrebbe compiere dovendo valutare un disco di Ariel Pink, è quello di prenderlo così tremendamente sul serio da basare il proprio giudizio su tecnicismi e gradevolezza musicale più in generale. Ascoltare un album come pom pom invece è come fare zapping tra il late night poker, Mondialcasa ed MTV quando era ancora guardabile, è come vedere Blob alle 3 di notte, è come osservare Ghezzi che gesticola senza il sonoro. Fare qualsiasi altra cosa significherebbe dare più importanza alle domande di Marzullo che alle risposte dei sognatori. Ariel Pink in fondo è un meme, è il lolcat che fa sghignazzare. He can haz cookies. Because Pink Ariel is Pink.