La band bellunese prosegue nel percorso avviato da Dei Cani e realizza il suo disco piu' "adulto": ma sara' necessariamente un bene?6/10Uscita: 21 gennaio 2014 Picicca Dischi Compralo su Amazon: Audio CD |
L'amore fin che dura è il titolo del nuovo album dei Non voglio che Clara. Non vorrei che però fosse anche una frase profetica, come a preludere alla fine di un amore, quello tra me e la band bellunese, che dura da poco meno di un decennio, ma che questo disco rischia di mettere a dura prova.
E allora mi viene da pensare che forse siamo cresciuti un po' troppo io e Fabio De Min: lui non è più così bravo a tratteggiare quelle atmosfere rarefatte e sospese rubate alla migliore tradizione cantautorale italiana, e, chissà, forse anch'io non sono più la sognatrice pronta a farsi affascinare dal ragazzo che sembrava uscito da un quadro di Schiele.
Ma è inutile cercare scuse, e ci ho provato tanto in questi giorni di attento ascolto: questo è un album tecnicamente maturo, ma che non emoziona, anzi spesso annoia, e suona ancora più vecchio dei classici riferimenti a Endrigo e Tenco, con il modo di cantare di Fabio che a tratti sembra ricordare il più triste Adriano Celentano e la composizione che ammicca ad uno sbiadito Battisti. Il tutto condito da arrangiamenti attenti, curati, notevoli, ma che non sono sufficienti a convincere, almeno me.
Sicuramente la delusione suscitata dal primo ascolto completo dell'album risulta amplificata dalle aspettative molto alte che lo avevano accolto. Il complotto, infatti, il primo singolo, mi aveva impressionato positivamente, permeato com'è da quell'atmosfera sospesa, da quel romanticismo sfocato e inconcludente, che, a mio parere, sono la migliore espressione della poetica dei NVCC. L'interessante arrangiamento vagamente elettronico, poi, punteggiato di archi, non soffoca il pezzo, ma anzi, lo valorizza.
Seguono un paio di altri pezzi validi, come si possono definire sicuramente Le mogli e Le anitre, anche se di quest'ultimo trovo insopportabile il modo trascinato di cantare di De Min, che troppo ricorda, come accennavo prima, la vocalità del Molleggiato. Stile rintracciabile anche nella supponente e non centrata L'escamotage. E' proprio qusta triade centrale, L'escamotage, Lo zio e La bonne heure a risultarmi di più difficile ascolto: l'approccio meno personale, il tentativo di raccontare storie altrui non convincono fino in fondo. La sera invece, con la bella batteria a mo' di marcetta che le dona ritmo e leggerezza, è l'unica canzone che riesce davvero a spiccare, come una boccata d'aria fresca, meno cervellotica e cupa anche nel testo.
Ma si tratta solo di una fugace evasione (in parte ripresa nella orecchiabile e minimale Daria) nel complesso di un album che è riuscito a farmi rimpiangere Dei cani – che pur non è il mio preferito – e soprattutto alcuni suoi brani, come Gli anni dell'università, pezzo maturo, arrangiato, pensato, ma che colpisce subito al cuore ed emoziona, fin dal primo ascolto. Qui invece non riesco a rintracciare aperture pop, al contrario, sento appesantimenti incomprensibili, nelle melodie, testi pomposi e vagamente barocchi, conditi di luoghi comuni, e nonostante gli arrangiamenti notevoli, che hanno spesso il merito di tenere in piedi i pezzi, la sensazione generale è che l'ispirazione sia venuta un po' meno. E direi che non è mai una bella sensazione.
Detto questo, non c'è quasi bisogno di aggiungere che comunque i Non Voglio Che Clara restano una mosca bianca nel panorama musicale italiano, e quanto a talento stanno sempre qualche gradino più in alto rispetto alla maggior parte dei loro colleghi. Inoltre bisogna ammettere che questo disco più lo si ascolta, più lo si digerisce, o meglio, metabolizza, cogliendone le sfumature e gli impreziosimenti. Di certo con L'amore fin che dura De Min e compagni proseguono il lavoro iniziato con Dei Cani, verso una maturità, che, come nella vita reale, porta con sé aspetti positivi e negativi.
Tuttavia è inutile negare che questo album rappresenta un'occasione mancata, quella di rendere ancora più "adulto" il suono del gruppo bellunese, senza perdere in freschezza. E va da sè che se crescere significa perdere la spontaneità e sostituirla con raffinate infrastrutture, avrei preferito non veder mai diventare adulti Fabio De Min e la sua band.