Giunto alla sua settima edizione il roBOt Festival si sposta dal Link, sede “storica” finora dei concerti principali, a Bologna Fiere. Una sfida che risulta vincente: sabato sera si è registrato il sold out, con i padiglioni 25 e 26, progettati dall’architetto Leonardo Benevolo, affollati di musica e persone. Una degna conclusione per la manifestazione che dall’1 al 5 ottobre ha visto avvicendarsi tra Palazzo Re Enzo, l’Estragon, il Teatro Comunale, la Fiera di Bologna e il MAMbo (Museo di arte Moderna) più di 100 artisti, 25 opere, 12 proiezioni e sette workshop.
Il tema di quest’anno è stato Lost Memories, le memorie perdute: la memoria di un mondo analogico scomparso che porta con sé la necessità di cercare di ritrovare un approccio diretto con le cose, anche se attraverso mezzi moderni e tecnologici. Una sfida raccolta dal roBOt, che quest'anno ha tentato di avvicinarsi, per ambiente e importanza, al Sónar Festival di Barcellona, scrollandosi di dosso la nomea di festival di nicchia; ecco quindi gli artisti internazionali, nel nome di un’accurata selezione musicale che non disdegna però i grandi numeri di pubblico.
Quella di sabato è stata la serata (o meglio nottata) di punta. Arrivo nei pressi di Bologna Fiere verso le dieci e mezzo. Superati i sei controlli da aeroporto mi ritrovo nel padiglione 25, illuminato da luci blu e rossastre. L’ambiente underground e la musica che già scandisce il ritmo concorrono nel ricreare un’atmosfera berlinese. Stanno finendo di esibirsi i Dark Sky, trio britannico il cui album di debutto Imagin è stato prodotto da Monkeytown Records, label dei Modeselektor. Il cuore del loro sound è fatto di frequenze basse e pulsanti, punto di partenza imprescindibile che lascia comunque spazio alla costruzione di un suono imprevedibile ed eclettico, che sa prender spunto dalla musica pop, funk, trip-hop, soul senza tuttavia essere confusionario.
Successivamente sale sul main stage Gold Panda, pseudonimo di Derwin Schlecker, musicista e produttore musicale figlio della periferia inglese. Abile nel comporre insieme differenti generi, pratica una commistione di stili in modo sottile, ironico e stravagante. Un suono dai richiami analogici ma ben calato nell’epoca del post modernismo, lineare nelle basi ma che riserva sempre una sorpresa, un qualcosa di inaspettato. Emblematica del suo groove è You, montagna russa di suoni sintetici e ripetitivi che lascia spazio anche a momenti inattesi e per questo tanto più piacevoli. Date le premesse è un peccato che il live non sia all’altezza delle aspettative: lineare e prevedibile, si concentra su sonorità più classiche di quelle a cui aveva abituato il suo pubblico, tra crescendo semplici che culminano in un'esplosione di bassi. Il suono sembra poco ricercato e volto più che altro a piacere alla folla, deludendo inevitabilmente i cultori del genere.
Dopo Gold Panda si esibiranno i Moderat, live più atteso della serata e probabilmente dell’intera edizione. I Moderat nascono dalla collaborazione tra i Modeselektor e Sascha Ring (ovvero Apparat, che si esibirà in un dj set a fine serata). Essendo riuscita a guadagnarmi un posto in seconda fila decido di non spostarmi e aspettare paziente l’arrivo del trio berlinese. Si sta stretti come su un regionale di Trenitalia alle otto del lunedì mattina e non mancano soggetti bizzarri e molesti, come un tizio vestito da pirata che urla e si dimena. Prima che i tre salgano sul palco una scritta sullo schermo ci informa che il loro live sarà molto “dark”, pregano quindi di non fare foto col flash. All’1 e 20 eccoli, puntuali: luci soffuse, partono le note di A New Error, singolo del loro primo album. Un brano emotivo, che gioca su di una ripetitività elegante, quasi epica nel suo crescere in maniera lieve e piena di grazia sintetica. La loro musica prende il via dalla techno made in Berlin e si innesta su sonorità più propriamente brit, ma è riconoscibile soprattutto per la malinconia insita, vero manifesto del gruppo. La voce di Apparat, figura esile e scintillante, oltre a risultare pacata e calma risulta anche incredibilmente precisa e romantica. Un live avvolgente, grazie anche alle proiezioni video semplici e godibili, fatto di atmosfere cupe, al limite dell’ossessivo, ma anche di melodie luminose e rarefatte, capaci di colpire ed emozionare anche il pubblico meno attento. Un concerto in grado di dare quanto promette, senza compromessi.
Terminato il live decido di prendermi una pausa e mi avventuro nell’area extra musicale. C’è una pista di autoscontro, un’area chill-out che mette a disposizione cuscini, acqua, bevande e merendine (anche dei depliant esplicativi delle varie droghe, tra cui un foglietto che insegna come sniffare cocaina senza lasciarci le penne), uno spazio che ricrea suoni in 3D (purtroppo inutilizzabile poiché, come mi spiega affranto un ragazzo, l’apparecchio è stato rubato).
Una folla danzante si è intanto riunita davanti al RBMA Stage dove si sta esibendo Lone, artista inglese che, partito dalla dubstep, è approdato a un sound che unisce house, hip-hop, techno, il tutto sotto il segno di un funk affilato. A metà concerto mi sposto verso il Main Stage dove si sta esibendo Jon Hopkins, anch’egli britannico, ma più vicino a Moderat per emotività e atmosfere. Evocativo e oscuro, è senza dubbio uno dei nomi più interessanti del roBOt di quest’anno. Debitore, come molti altri presenti, alla Gran Bretagna per i bassi pulsanti e le atmosfere underground, riesce a ritagliarsi un proprio posto nel panorama della musica elettronica, grazie anche alle fortunate collaborazioni precedenti (tra tutte quella con Brian Eno): suoni profondi, ipnotici che attraversano lande ossessive per arrivare a momenti di dilatazione luminosa e sospesa.
Altro gruppo caratterizzato da atmosfere decisamente dark e sequenze ritmiche martellanti è quello dei Factory Floor (prodotti dalla label di James Murphy, frontman degli LCD Soundsystem). Un suono scarno, un acid house che non lascia spazio a incursioni melodiche, una techno minimale figlia comunque del post punk che caratterizzava la band in precedenza. Ma di lì a poco il pubblico è già proiettato verso l’ultimo live del main stage: Apparat, che si esibirà in un dj set. Purtroppo anche in questo caso, come per Gold Panda, le aspettative degli appassionati vengono deluse. Manca l’anima di Apparat, quel romanticismo che lo contraddistingue: il dj set è fatto per ballare, brani monotoni che si susseguono senza alcuno sprazzo di originalità.
Il roBOt nel complesso costituisce un evento quasi unico nel suo genere nel panorama italiano che, si sa, non è troppo aperto a sperimentazioni originali. Ha dalla sua un richiamo internazionale e un pubblico sempre più attento, curioso ed esigente. L'unico appunto è quello di lasciare in futuro maggiore spazio a una musica elettronica fatta per essere ascoltata e compresa, non solo per essere ballata: anche nel bel mezzo di un festival, infatti, è sempre piacevole lasciarsi avvolgere e incantare da suoni sintetici in grado di risvegliare la memoria.