Cinema e musica formano da sempre un sodalizio inscindibile. Fin dai tempi del muto musicisti e cantanti venivano incaricati di accompagnare dal vivo le proiezioni, in virtù della capacità di questi due media di influenzarsi positivamente a vicenda: il suono esalta la carica rappresentativa dell’immagine, che a sua volta aumenta quella evocativa della musica.
In questa nuova rubrica, Soundz & Vision, vorremmo parlare di quei momenti in cui una canzone (preferibilmente di musica indipendente, ma non solo) rende indimenticabile una particolare scena di un film, illuminandola di significato. Prenderemo in rassegna film e canzoni molto famosi, ma anche pellicole meno conosciute, come quella da cui partiamo oggi, Laurence Anyways del regista Xavier Dolan.
Per chi non lo conoscesse, Xavier Dolan è un regista e attore canadese venticinquenne bello e talentuoso. Ha al suo attivo cinque film (l’ultimo – Mommy – ha vinto a Cannes il premio della giuria e approderà nelle sale italiane in autunno) di cui non si è limitato a curare la regia: ne ha scritto la sceneggiatura, scelto i costumi e soprattutto le musiche. Ogni suo film ha un’anima propria, una peculiarità che lo rende incantevole.
A cominciare da Laurence Anyways, pellicola del 2012, che si contraddistingue per l’incredibile maturità: arrivati alla fine di questo fiume di immagini (dura quasi tre ore) risulta difficile credere che il regista avesse solo ventitré anni all’epoca. È un’opera ironica e toccante, che affronta un tema difficile con grazia e leggerezza, precisa e lucida nella sua attenzione per i dettagli, coraggiosa nelle scelte visive.
Il film segue la vita di un uomo, Laurence, dal 1988 al 1998. Laurence (Melvil Poupaud) ama Fred (Suzanne Clement, miglior interpretazione femminile a Cannes 2012), e non smette di amarla neanche quando riesce finalmente a confessare che il suo riflesso nello specchio non gli appartiene: è una donna incatenata nel corpo di un uomo. Un amore impossibile e per questo tanto più potente, addolcito dal ricordo amaro delle “liste di cose che tolgono piacere alla vita” che i due si divertivano a elencare insieme.
Mentre tutto intorno a lui si sgretola inesorabilmente, Laurence ricerca sé stesso, accompagnato da una musica sincopata ed estraniante che, come in tutti i film di Dolan, non si accontenta di essere una colonna sonora, ma entra prepotentemente in scena come co-protagonista. Pare addirittura che durante le riprese Xavier facesse ascoltare agli attori diversi brani musicali, per far sì che l’azione fosse in linea con la musica prescelta, quasi una danza in cui il suono diventa parola. Si passa così da un brano di Brahms a Enjoy the Silence dei Depeche Mode, sino ad arrivare a brani elettronici contemporanei come If I Had a Heart di Fever Ray.
Infine l’”Île au noir”, apoteosi e sintesi della sinergia che si crea quando l’immagine incontra il suono. È una sequenza che si fa strada potente e quasi arrogante tra le altre scene, tra il fiume di lacrime trattenute e le parole mute. Dopo anni di silenzi e di vuoto laceranti, Laurence decide di riconquistare la ragazza dai capelli rossi che un tempo lo amava. Scrive e pubblica un libro di poesie e glielo invia allegato a una lettera. «L’ho chiamata donna A.Z. perché tutto comincia e finisce con lei». L’alfa e l’omega, l’alba e il tramonto, Laurence e Fred. E allora è come se nulla fosse cambiato, si può ricominciare da capo scappando su un’isola lontano da tutti, con un oceano che separi dal mondo. Ma su un’isola non si può vivere, è come una campana di vetro sotto alla quale a lungo andare l’ossigeno finisce.
Questa scena ha anima propria, nascosta dietro la forma di un vero e proprio videoclip. Potrebbe esistere da sola dal momento che è l’unico istante di pura gioia spensierata concesso ai personaggi prima che la realtà presenti il suo conto. Come una distesa di neve fuori dal tempo e dallo spazio, quella che i due protagonisti attraversano felici e increduli.
Ad accompagnarci in questo viaggio c’è A New Error, singolo del 2009 dei Moderat, band berlinese di musica elettronica il cui nome nasce dall’unione di Apparat (nome d’arte del musicista tedesco Sascha Ring) con il duo Modeselektor. Si tratta di una melodia minimale e ripetitiva, che conferisce alla canzone pathos in modo lieve e mai ridondante. Due minuti in cui ci sono solo i protagonisti e questa leggera pioggia di suono, che si posa come la neve sull’isola, anestetizzando il dolore dell’assenza e del vuoto che li ha separati. A quanto pare Dolan pensando a questa scena aveva già in mente di utilizzare il brano, dal momento che tra tra i suoi suoni preferiti c’è sicuramente la techno berlinese, unita alla sensibilità brit del gruppo. Delicata ed elegante, mai ossessiva nonostante la marcata serialità dei suoni.
Vestiti colorati cadono da un cielo onirico e immobile, stracci di una vita passata insieme, resti di ciò che era e non sarà più. Indirettamente rimandano l’inconscio dello spettatore alla prima scena quando Laurence sveglia Fred rovesciandole addosso il cesto della biancheria. Quando Laurence era ancora lui e non già lei. Ma lui o lei, «C’est Laurence, Anyways».
La musica suona quindi come un mantra, un bisbiglio della memoria che pure si pone in maniera anacronistica rispetto agli eventi. Per ambientazione storica e scelta consapevole di Dolan infatti la tecnologia in questo film è praticamente inesistente, soppiantata dalla forza della parola scritta e degli sguardi dei due amanti che si cercano spasmodici. In questo scenario la musica elettronica dei Moderat è invece l’unico elemento che viene dal futuro, malinconica e speranzosa. È una promessa che irrimediabilmente sarà disattesa, ma sull’”Île au noir” è ancora possibile sognare.