Sometimes: una parola di tutti i giorni, un avverbio comunissimo e strausato, un titolo così semplice e immediato che nasconde dietro di sé una canzone estremamente intensa ed emozionante, eterna, di quelle che nonostante il passare degli anni (che sono già ben 23!), non accenna minimamente a perdere una briciola della sua originaria verve né dello spirito rivoluzionario che la caratterizza. Anzi, si può dire che la traccia continui ad aumentare la sua reputazione con ogni anno che passa, tanto da essere ormai universalmente considerata come il momento più indimenticabile di quel pilastro sacro e imprescindibile della musica alternativa anni ’90 che è il secondo LP dei My Bloody Valentine, Loveless.
Indubbiamente meraviglioso nella sua diversità è anche Lost In Translation di Sofia Coppola. Questo ottimo film del 2003 racconta della particolarissima amicizia che nasce e cresce tra la star di Hollywood in declino Bob Harris, un Bill Murray che per lavorare è costretto a girare spot pubblicitari di whisky in Giappone, e una giovane neo-sposa americana di nome Charlotte, interpretata da Scarlett Johansson.
Entrambi sono spettri solitari ed entrambi abitano una qualche specie di ovattato limbo terreno: Bob ha nostalgia delle luci della ribalta e di una giovinezza spensierata, Charlotte sta assistendo invece, con apparente apatia, al dissolversi del sogno coniugale al quale probabilmente anelava prima di sposarsi. Lasciata spesso sola da uno pseudo-marito costantemente assente e festaiolo, la ragazza passa le proprie giornate vagabondando per l’estranea Tokyo come un’anima del Purgatorio dantesco, in perpetua attesa.
L’incontro con Bob è per lei di grande conforto e dopo una serata passata insieme al karaoke (altra scena segnata da un brano indimenticabile, l’interpretazione che Murray offre di More than This dei Roxy Music), in quello che è finalmente un momento di genuina felicità e serenità per i due protagonisti, la scena passa di colpo a un panorama notturno in movimento: è notte fonda nella metropoli nipponica e un fantasmagorico universo di luci sfocate si dipinge come un acquerello al neon fuori dal finestrino del taxi in cui i due stanno viaggiando.
E’ in questo momento che assistiamo alla soffice implosione delle tremolanti chitarre di Kevin Shields e Bilinda Butcher, candidi ruggiti di angeli scomunicati che supplicano di essere amati nuovamente. Durante questo sfuggevole minuto o poco più, la tempesta interiore che tormenta Charlotte prende concretamente forma agli occhi e soprattutto alle orecchie dello spettatore grazie alla purpurea foschia sonora generata da Sometimes. Il maremoto chitarristico rispecchia il subbuglio dei sentimenti dei protagonisti, ma c’è posto però anche per una profonda dolcezza guidata dalla dolce melodia del pezzo, qualità da sempre insita nella musica dei My Bloody Valentine e che si trasmette per osmosi anche alla pellicola.
Rivolgendo un sorriso all’amico addormentato, la giovane protagonista sembra infatti convincersi che le cose non vadano poi così male, in fin dei conti. Il viaggio in taxi è giunto al capolinea e anche Sometimes, come un aroma sottile, si è dispersa nel rarefatto ossigeno di Tokyo. Di ritorno all’hotel, in braccio a Bob, Charlotte si addormenta, e con lei anche noi spettatori ci abbandoniamo nelle nostre poltrone: domani probabilmente ritroveremo i nostri problemi ad aspettarci, ma per stasera siamo al sicuro, cullati dalla melodia di chitarre distorte che non sono mai state così soffici e rassicuranti.