"No no no", quest'album pop proprio non s'aveva da fare. Un disco debole, scevro delle sperimentazioni stilistiche a cui ci avevano abituato Zach Condon e compagni.5/10Uscita: 11 settembre 2015 4AD Records Compralo su Amazon: Audio CD |
Era il 2006 e, con Gulag Orkestar, nasceva un mirabile progetto musicale che mischiava sapientemente il folk al rock, i Balcani con la scena indipendente americana, tutto a partire dalle calde atmosfere del New Mexico. Ora, a distanza di quattro anni dal loro ultimo album in studio The Rip Ride, i Beirut tornano con un nuovo singolo (No No No) e con un album omonimo allegato.
Si riconferma la presenza di lunghe parti di tromba, si riconfermano le atmosfere folkeggianti, si riconferma la voce debolmente intensa, quasi strascicata di Zach Condon, gli ukulele e i glockenspiel, ma si sente comunque la mancanza di qualcosa: per esempio della potenza lirico/patetica dell'intro di Gulag Orkestar, dell'immalinconente accostamento tra la melodia da guerra jugoslava e la voce gentile e morbida di Condon. O ancora, anche in pezzi più allegri quali Gibraltar, sono assenti le atmosfere da picnic filosofici di Postcards From Italy, quell'immaginario che mi ha sempre rimandato alle astrazioni sentimentali del Wes Anderson de I Tenenbaum.
Insostenibile per qualsiasi fan di Condon e compagni la quasi totale assenza delle fisarmoniche, che ad esempio rendevano Cliquot (uno dei pezzi più deboli dell'album The Flying Club Cup), un mirabile esempio della capacità di contaminazione dei Beirut. Il singolo e l'album tutto hanno perso buona parte della splendida “velleità” intellettualoide degli album precedenti, in virtù del commercio, in virtù dell'estrema semplificazione uditivo/emozionale, che va a discapito, appunto, della ricerca musicale così tipicamente anni zero. Perth è, forse, il pezzo che più mi ha fatto rimpiangere il tempo speso nell'ascolto di quest'album: un brano inutile, melodicamente basato su tre note pigiate sulla tastiera e su una melodia vocale terribilmente noiosa.
Ma non è un problema legato solo agli ingombranti paragoni con i primi due album di Condon e compagni: anche rispetto a The Rip Tide, che già aveva segnato una svolta stilistica, No No No risulta debole. Quel disco risultava infatti gioviale, un lavoro ben riuscito degno delle sperimentazioni precedenti, con pezzi come Santa Fe o Payne’s Bay che dimostravano come fosse possibile evolversi, mutare il proprio stile, senza decadere nella commercializzazione della propria proposta artistica. Nel nuovo album tutto ciò purtroppo non accade.
No No No è, in conclusione, un album debole, scevro dei contagi stilistici che tanto mi hanno reso cari i Beirut all'età di quattordici anni: un album che sembrerebbe registrato senza nessun motivo specifico, se non quello di pagare l'affitto e racimolare qualche spiccio. Intento, per altro, affatto biasimabile, a patto che si sappia che la vera arte (e la vera ispirazione) sono da tutt'altra parte.