Paolo Spaccamonti – Rumors (Recensione)

Paolo Spaccamonti – Rumors (Recensione)

2017-11-08T17:15:45+00:0028 Maggio 2015|


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Un'altra "buona notizia": l'ultimo lavoro del chitarrista torinese dialoga con l’oscurita' che c’e' in ognuno di noi e la trasforma in grazia, attraverso e oltre il brusio di fondo.

8/10


Uscita: 20 aprile 2015
Santeria/Audioglobe
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A pochi giorni dall’uscita di questo complesso e sorprendente nuovo lavoro del chitarrista e compositore torinese Paolo Spaccamonti, singolare figura di musicista perennemente in bilico tra eclettismo e sperimentalismo, possiamo già accorgerci che, dopo le felici prove rappresentate da Undici pezzi facili e Buone notizie (2011), Rumors si fa espressione di un universo esperienziale molto più sofferto, complicandosi ed arricchendosi di sfaccettature autobiografiche e di nuove commistioni tra armonia e rumore puro.

Il disco, prodotto al Superbudda di Torino da Gup Alcaro e masterizzato al Basement di Roma da Mauro Teho Teardo, è impreziosito dalla presenza di ospiti prestigiosi, i cui contributi, per certi versi inconfondibili come nel caso del violoncello di Julia Kent o della batteria di Bruno Dorella, riconfermano la spontaneità con la quale Spaccamonti ha sempre accostato alla propria ricerca solista collaborazioni di grande valore. Tra le altre esperienze ricordiamo infatti la musica per i reading con il giornalista Maurizio Blatto, nonché le atmosfere sonore dei film muti Rotaie e Drifters create per il Museo Nazionale del Cinema di Torino, oltre ai brani che scandiscono il documentario di Enrico Verra Vite da recupero. Ma non mancano i riferimenti anche alla sua produzione discografica, che spazia dal progetto Spaccamombu allo split con Stefano Pilia (Massimo Volume, Afterhours, In Zaire), sino alla musicassetta Burnout elaborata assieme a Daniele Brusaschetto (2014), senza scordare cooperazioni e scambi artistici con personalità quali Damo Suzuki (Can), Fabrizio Modonese Palumbo, Chicco Bertacchini degli Starfuckers e i video-artisti MASBEDO.

Rumors, a proposito del quale l’autore afferma “credo abbia a che fare con l’assenza e la disperazione, la malattia e il dubbio”, è un album effettivamente votato al rumore ma che contiene anche tanto suono studiato, che si contrappone all’eleganza minimal ed estremamente suggestiva di Buone notizie per il gioco di antitesi tra la “tenacia” e la “pazzia”, tra le asprezze quasi cacofoniche e l’improvviso sciogliersi e delinearsi di accordi struggenti, cesellati con limpidezza. Nonostante il titolo, che vuole racchiudere in una parola “il chiacchiericcio cui dobbiamo sottoporci ogni giorno per esigenze di vita, sopravvivenza”, sembrerebbe che più che subire il deformante e inutile brusio di fondo che permea la vita contemporanea l’artista torinese sia riuscito a penetrarlo, scavandosi grazie a una portentosa capacità di introspezione lo spazio necessario per comunicare. Ecco che prendono vita, superando una storia compositiva travagliata, dodici brani diretti, ognuno in grado di suggerire un’atmosfera autonoma, attraverso la centralità della chitarra che ricama e struttura dando forma a un orizzonte di suoni inattesi, dilatati, magnetici; un retroterra musicale che si muove tra elettronica e indie-jazz, avant blues e rock, minimalismo e reminiscenze post-punk, e non ultime influenze metal che sfociano qui in autentico noise.

Apre l’album la title track, di una profondità che costringe all’ascolto, un pezzo universale, siderale, malinconico, quasi un requiem: una vibrazione di corde all’unisono, un movimento verso l’alto che parte dalle viscere, ritmato, come lo scheletro della terra. Salgono e si moltiplicano il pianoforte di Dario Bruna e gli E-bow, poi cessa il rumore. In Dead Set, secondo brano, ecco invece spazi vibranti, qualcosa di metallico e di stridente, l’innalzamento verso qualcosa di bello che parte e lascia un liquido interrogativo. Viene poi Gordo, in cui il rapido cambio di tempo crea uno strano sfasamento di ritmi tra la percussione e il filo armonico, una sottile tensione, come di  qualcosa che si libra. Rapidissimo, è già finito. Di grande personalità Bonnie e Bonnie, dalla ritmica molto accentuata, quasi un circolo di passi estremamente definito nella sua marginalità, tutto giocato su un unico giro che sottolinea e dà forma, ossessivo come un’allucinazione di stati sovrapposti e pensieri che ronzano sempre più invadenti. Intanto si moltiplicano in sottofondo rumori che invadono tutto il resto, in un crescendo letale e inquietante: Croci/fiamme, brano intensissimo, rituale (quasi un ritorno alla Spaccamombu), tra atmosfere allucinate e fumose, è un canto solitario in mezzo al caos, al rumore che copre la melodia; l'atmosfera si fa sempre più angosciante, con percussioni che lambiscono come le fiamme del titolo, e consumano, tenaci.

Si cambia completamente atmosfera con Giorni contati, il pezzo in cui più di tutti riecheggia qualcosa di Buone notizie: molto musicale, molto sfaccettato, intavola uno strano dialogo con un titolo non del tutto luminoso, ed è testardo, introspettivo, come qualcuno che si stia giocando il tutto per tutto, affermando il proprio sé tramite la ripresa di due note lungo tutto il finale. Eterea, un enorme ecosistema che coinvolge sfere sempre più elevate, è Seguiamo le api, un'armonica geometria verso l’azzurro che sale sempre di più prima di riassorbirsi nel suono della terra. In Sweet EN si sente caldo e sole, e si viene sbalzati in tutt’altro paesaggio sonoro quando il gioco di riprese apre facendosi profondo e a tratti inquietante come il movimento di qualcosa di molto lento e remoto: le linee di basso danno vita a una palpitazione che scandisce il riff sino all’intermittenza di rumore, pieno, vuoto, suono, silenzio.

Di nuovo all’opposto con Navigare a vista, dove immaginiamo uno scafo battuto dai flutti, circoli e orizzonti che si scoprono, forse verso terre di un lancinante esotismo. Qui è la bussola, l’uomo solo con la rotta e la sua sperimentazione; la crescita del suono non in altezza quanto in profondità ed eco, con un finale che si mantiene senza rompersi. Sinistro e brevissimo è Il delinquente va decapitato, un brusio giocato su toni oscuri, un frastuono irregolare schiettamente noise. In Io ti aspetto, arricchito dal violoncello di Julia Kent, leggiamo la perfetta antitesi di Croci/fiamme: la musicalità che riecheggia in spirali, le piccole variazioni basate su costanza e armonia, una pace che ha del malinconico ma anche una grande apertura grazie al movimento che allarga e ritorna, verso una conclusione che ci lascia irrimediabilmente in sospeso. Chiudono il cerchio i suoni ritmati, lenti, cadenzati di Fango, che parte viscerale e assiste alla nascita di qualcosa, mentre tornano le sonorità più gravi di Rumors anche se questa volta in evoluzione verso atmosfere più spaziali, come un crescendo di disarmonie che si riequilibrano in una vibrazione profonda, in un inesorabile dissolvimento elettronico.

La grazia e la padronanza tecnico-strumentale di Paolo Spaccamonti hanno nuovamente colpito nel segno, liberandosi di ogni orpello superfluo e giungendo al cuore con raffinata sobrietà: Rumors è un percorso accidentato che attraversa e supera l’oscurità, il racconto della consapevolezza di chi è riuscito a guardare in faccia i propri demoni.