Dopo il duo Green Green Artichokes che abbiamo visto due settimane fa, questa volta la barca restaurata dall'associazione Il Caicio che ospita le Indiemood Sessions si riempie di ben cinque componenti: sono i bolognesi Nuju, protagonisti del ventesimo video realizzato per noi da Indiemood Press Office.
Qui sotto potete vederli dal vivo lungo i canali veneziani, mentre a seguire trovate come al solito la nostra intervista con la band: buona visione e buona lettura!
Ciao ragazzi, iniziamo col parlare del progetto Nuju: come e quando nasce? Avevate già precedenti esperienze musicali alle spalle?
I Nuju nascono nel 2009, dall'incontro di musicisti calabresi di stanza a Bologna, provenienti tutti da esperienze precedenti. Ci conoscevamo già e alcuni di noi avevano già suonato insieme. Alla soglia dei trent'anni poi abbiamo deciso di creare un progetto più "importante", con cui realizzare prima di tutto uno spettacolo e un viaggio musicale all'interno delle nostre vite e di chi ci sta intorno. Dal maggio del 2009, quando abbiamo esordito live al Fuori Orario di Taneto di Gattatico (RE), abbiamo fatto 300 concerti e quattro album. Anche se sulle spalle i Nuju hanno solo 6 anni di vita siamo riusciti a fare tanto, sempre incastrando i tasselli con le nostre vite private, fatte di famiglie e altri lavori.
Vi hanno definito una band urban folk e ascoltando la vostra musica si ha la netta impressione che voi facciate collidere due mondi che sembrano appartenere a due universi lontanissimi. Più che di folk parlerei di base “etnica” perché tra le vostre note si assapora un elemento visceralmente suggestivo che viene dal Sud (questo soprattutto nei lavori che precedono Urban Box) e tutto questo sembra rappresentare un luogo dell'anima più che un luogo geografico. Dall'altra parte c'è l'elemento urbano, potremmo dire la realtà al di fuori dell'interiorità rappresentata dall'elemento etnico prima citato. Come fate dialogare, musicalmente e concettualmente, questi due mondi?
Noi siamo nati tutti in piccoli paesi della Calabria; anche se in zone diverse condividiamo un'infanzia e un'adolescenza in un mondo davvero folk, fatto di terra, mare e giornate lente da vivere all'aria aperta, con le cose positive e quelle negative da cogliere. Tutti poi ci siamo trasferiti in città, a Bologna precisamente, in un mondo urban, fatto di cemento, strade grigie e giornate veloci e frenetiche, anche qui raccogliendo cose positive e negative. La nostra musica cammina di pari passo con la nostra biografia e stiamo cercando di raggiungere il connubio perfetto tra un mondo di ispirazione etno-folk fatto di suoni acustici e analogici e un mondo di ispirazione urban fatto di suoni sintetici e digitali, raccontando sempre ciò che vediamo intorno a noi. L'ultimo album spinge di più sull'ispirazione urbana, come si percepisce chiaramente dal titolo, ma non abbiamo ancora finito di sperimentare e cercare la strada migliore per esprimerci.
Parlando dell'elemento della scrittura, i vostri testi riflettono un impegno a trasmettere un forte messaggio sociale. Cosa significa per voi approcciarsi e vivere la musica in questo modo?
Noi abbiamo sempre pensato che chi ha un microfono in mano e un pubblico che lo ascolta, che sia esso composto da una o un milione di persone, deve sempre cercare di sensibilizzare su argomenti importanti che possano rendere il mondo intorno a noi migliore e più vivibile. Abbiamo parlato di morti sul lavoro, di lotta alla mafia, di antifascismo, di accoglienza verso i migranti, e lo faremo ancora. Sempre con il sorriso e cercando di far divertire l'ascoltatore, credendo che questo sia una chiave giusta per far avvicinare le persone a temi che i media spesso non raccontano. Del resto, come detto prima, noi raccontiamo ciò che accade intorno a noi e oggi più che mai bisogna impegnarsi e trasmettere forti messaggi sociali.
In un momento di generale confusione e di offuscamento di alcuni orizzonti, in che modo credete che la musica possa assolvere una funzione di aggregazione mentale e di “resistenza” di fronte a una società che punta sempre più verso l'omologazione?
Oggi tendiamo tutti a spegnere il cervello. Il mondo "social" dovrebbe unire ma invece allontana le persone, rendendo tutto più freddo e distaccato, anche la musica. Una volta si compravano i dischi e si correva a casa, si scartavano e si ascoltavano tenendo le copertine in mano, leggendo i testi e approfondendo ciò che l'artista voleva trasmetterci. Oggi invece la musica si ascolta in streaming saltando da un brano all'altro e da un'artista all'altro e, paradossalmente, anche se si hanno più possibilità di approfondire, rimane tutto superficiale. Dunque crediamo che la musica possa aggregare solo se la gente avrà voglia di uscire di casa e andare ai concerti, di parlare faccia a faccia e sentire il calore umano, perché oggi, anche se crediamo di non essere omologati perché siamo noi a decidere cosa guardare in rete, invece facciamo sempre di più tutti le stesse cose. E' un discorso difficile, che andrebbe approfondito.
Per concludere, quali progetti musicali avete in cantiere?
In questo momento siamo in tour e andremo avanti fino a settembre, portando l'Urban box tour in tutta Italia. Successivamente ricominceremo a scrivere canzoni per aggiungere una nuova tappa al nostro viaggio.