Indiemood Sessions Vol. 9 – The Lonesome Southern Comfort Company

Indiemood Sessions Vol. 9 – The Lonesome Southern Comfort Company

2015-02-09T12:04:17+00:009 Febbraio 2015|

 

Episodio numero 9 delle nostre Indiemood Sessions, i video realizzati da Indiemood Press Office con alcuni degli artisti emergenti più interessanti della scena italiana e internazionale.

Questa volta varchiamo il confine con la Svizzera per scoprire i Lonesome Southern Comfort Company, band luganese indie-folk che ha pubblicato nel 2013 il suo ultimo album The Big Hunt: qui sotto li potete vedere come al solito accomodati sulla nostra barca in giro per i canali di Venezia

A seguire trovate anche la nostra intervista col frontman John Robbiani: buona visione e buona lettura!

Ciao ragazzi, iniziamo a parlare un po' di voi: come è nato il gruppo? A quale retroterra musicale avete fatto riferimento nell'iniziare questo percorso?

Io e Duke, dieci anni fa circa, suonavamo assieme in una band post-rock e avevamo già registrato un disco. Io sono stato a vivere per un po' di tempo negli Stati Uniti e iniziavo a trovare limitante il fatto di suonare in una band strumentale, senza poter esprimere – attraverso i testi – quel che provavo. Erano gli anni della guerra in Iraq, di Bush, dell'inizio della crisi economica e c'era la speranza di vedere finalmente un cambiamento nella leadership americana – e dunque in tutto l'Occidente – con l'arrivo di Obama. Ho chiamato la nostra etichetta e ho detto loro che mi sarebbe piaciuto dar vita a un progetto collaterale, da solo, parlando anche di queste cose. Così è nato The Lonesome Southern Comfort Company, nel 2008. Con alcuni amici (tra cui appunto Duke) siamo andati in studio e abbiamo dato vita al primo album, che aveva influenze più tradizionali rispetto agli altri. Era un periodo in cui ero impazzito per Woody Guthrie e – nel contempo – per la nuova ondata alt-country (Micah P. Hinson, South San Gabriel e Son Volt in particolare). L'idea comunque non era quella di tenere in vita per molto tempo il progetto. E invece…

Voi siete una band di Lugano; questo fatto è molto interessante perché vi pone in una posizione di confine. Come vi influenza il fatto di stare in mezzo a due realtà musicali vicine ma per alcuni aspetti diverse come possono essere quella italiana e quella europea?

La Svizzera è tutto un confine e Lugano in effetti lo è in modo particolare. Il confine e la dogana credo siano però aspetti culturali e sociali più che musicali. A essere sinceri non ho mai ascoltato molta musica italiana (cantata in italiano, intendo) perché non impazzisco per l'italiano messo in musica. Mentre tra i miei gruppi preferiti ci sono diversi gruppi italiani (Giardini di Mirò, Larsen, Sacri Cuori). La vera influenza sulla nostra musica, semmai, deriva dagli interminabili viaggi in auto attraverso i deserti degli Stati Uniti. Quelle sì che – per uno svizzero abituato alle montagne – sono state esperienze che cambiano la vita.

Dal vostro sito si può vedere che avete fatto diverse date in giro per l'Europa; come vi ha arricchito questa esperienza e come riuscite a canalizzarla nella vostra musica?

All'inizio il fatto di andare a suonare molto lontano da casa è stato una necessità. Da noi in Ticino non ci sono – e soprattutto non c'erano 10 anni fa – molti locali in cui suonare. La nostra prima data l'abbiamo fatta a Lugano, la seconda forse a Milano e poi roba tipo Budapest e Praga. Andavamo a suonare dove ci prendevano. Suonare nel resto della Svizzera non era facile (perchè il Ticino è un po' tagliato fuori dal circuito) e lo stesso valeva per l'Italia (dove eravamo comunque "svizzeri"). Allora siamo usciti. Ma è stato un bene. Il fatto di suonare in città lontane ci ha poi aiutato a trovare date più a portata di mano. A partire dal secondo disco, ma soprattutto con il terzo, la distribuzione e la promozione è poi stata fatta in tutta Europa e oggi non potremmo continare a suonare senza sapere di poter fare quelle 2, 3 o 4 settimane in giro per il continente con il nostro furgone, in luoghi che probabilmente non avremmo mai visitato se non grazie alla musica. Più che musicalmente il fatto di suonare in giro per l'Europa (ma arriverà anche l'America tra un po' spero) ha cementificato noi come gruppo, e questo si ripercuote anche sul nostro suono. Se il primo disco era un album fondamentalmente solista, ora siamo una band. E questo lo si nota ascoltandoci.

La scelta della lingua inglese appare abbastanza naturale, sia per la vostra posizione aperta a un panorama internazionale, sia perché risulta abbastanza aderente al genere che suonate. Ma avete mai pensato di arrangiare dei pezzi in italiano o pensate che possa essere un limite creativo e comunicativo?

Ho cantato in italiano in un progetto strumentale dei miei amici Peter Kernel. Per una sola canzone e con scarsi risultati. Quella di cantare in inglese non è neppure stata una scelta. Non ho mai neppure pensato di cantare in italiano. Siamo comunque svizzeri e il nostro "mercato" principale resta la Svizzera, dove l'italiano è parlato da 350.000 persone su 8 milioni. Sarebbe stato quasi impossibile suonare nel resto d'Europa e promuovere gli album in Inghilterra o negli Stati Uniti cantando in italiano (anche se non l'abbiamo fatto come scelta "strategica").

Per il vostro futuro prossimo che progetti avete in mente?

Ecco, così ci riallacciamo al discorso di Lugano e della frontiera. Stiamo lavorando a un nuovo disco, in collaborazione con il progetto Viavai e Prohelvetia, nell'ambito dell'Expo di Milano. Abbiamo quasi terminato un album – uscirà in primavera – sui 500 anni della battaglia di Marignano, un grosso scontro (con quasi 20.000 morti) avvenuto a Sud di Milano tra svizzeri e francesi (e l'aiuto di Venezia) per il controllo di Milano. Una battaglia, persa da noi svizzeri, che in pochi ricordano ma che è stata cruciale sia per la storia italiana che svizzera (il Ticino venne per esempio definitivamente annesso alla Svizzera, che poi si dichiarò neutrale in modo perpetuo). In un periodo in cui i rapporti tra Svizzera e Italia sono un po' problematici credo sia doveroso ricordare, anche musicalmente, che i due Paesi hanno una storia in comune, sono culturalmente legati a doppio o addirittura triplo filo, condividono la stessa lingua, gli stessi cognomi e anche lo stesso futuro. Musicalmente il disco sarà comunque molto meno noioso di come l'ho descritto!