Louis Armstrong diceva: "Se mi chiedi di spiegarti cosa è il jazz, amico, non lo capirai mai".
Non ne esiste definizione e, forse, neppure si dovrebbe ricercare. La questione verte, piuttosto, sulla fluidità del suono, che nel jazz si attorciglia e sviluppa vellutato, e sale e scende, e accelera e rallenta. In questo senso uno spettacolo di grande intensità ed energia è stato offerto nella sua data romana da Kamasi Washington, profeta del nu-jazz che ha raccolto i suoi fedeli in una sala pienissima, a dispetto del gelo atmosferico esterno. Le diverse età del pubblico hanno dato prova concreta di un'inversione dell'ordinaria tendenza che vuole il genere tanto aulico da risultare lontano agli ascoltatori più giovani, invece accorsi appassionati fra le prime file.
Un live con due volti, che ha coniugato sonorità ricercate da club a luci basse a una venue puramente concertistica. Poca la visibilità, purtroppo, a causa dell'elevato numero dei presenti; errore dovuto probabilmente a un infelice posizionamento del palco, che mi ha impedito di godere completamente di questa performance sonoramente straordinaria.
Kamasi porta con sé una famiglia, i suoi musicisti: sette elementi on stage (fra cui due batterie), avvolgenti e distribuiti a ventaglio, come ad accogliere i sorrisi e gli applausi che si affollano entusiasti. Presenta ogni brano con qualche parola scherzosa, ponendosi a contatto diretto con chi lo ascolta, narrando un frammento della propria esperienza. Il pezzo Leroy and Lanisha, come spiega, è un omaggio al suo cartone animato preferito. Anche nel corso della presentazione di Tony Austin, uno dei due batteristi, la descrizione è calorosa e fraterna, essendosi i due conosciuti alla festa di compleanno di Washington per i suoi trent'anni.
Non è possibile fissare lo sguardo su un punto soltanto: contemporaneamente si ergono da più parti suoni che rapiscono l'attenzione. Un attimo sul contrabbasso, quello dopo sul sassofono di Kamasi, sulla cassa e sul rullante, e ancora sulla bellissima voce della cantante Patrice Quinn.
Invitato sul palco a sorpresa è anche il padre dell'artista, Ricky Washington, sulle note di Henrietta Our Hero. L'atmosfera è divertita, allegra, piena di positive vibes che non lasciano tempo di star fermi senza canticchiare o dondolarsi. C'è il jazz e il carattere della California, ma anche tinte irresistibilmente funk, genere finalmente riscoperto nella sua grandezza nel corso degli ultimi anni. Ai due bassi, poi, ci sono i Professor Boogie – soprannome dato dallo stesso Washington – Thundercat e Miles Mosley.
L'album di debutto The Epic, successo mondiale, viene presentato quasi integralmente, alternato a improvvisazioni sul tema. Il sax di Kamasi regna incontrastato, inarrestabile e velocissimo, con una semplicità naturale. Non c'è allestimento scenico d'impatto o travestimenti eclettici che servano, quando l'eccezionale bravura e il carisma dominano.
Un live di due ore memorabile, prezioso: è bello e gratificante essere stati parte del primo tour italiano in assoluto di un'artista di questo spessore. L'ottima musica si diffonde reticolarmente, oltrepassando le preferenze personali: è il livello successivo, è arte.
Vi ricordiamo che l'album di Kamasi Washington, The Epic, è disponibile su Amazon.