Quando parliamo di Ezra Furman stiamo parlando di uno dei cantautori più rappresentativi della scena indie-rock d’oggi: sintetizza al meglio quelle che sono le nuove esigenze e le nuove tendenze del rock d’autore, un sound timido che esplode in flussi catartici di malinconia e frustrazione.
Il concerto dell’altra sera non è stato da meno, in un’atmosfera intima, tranquilla ma pur sempre travolgente. Il Magnolia non è pienissimo, quel tanto che basta perché la gente si diverta evitando i “contro” dei grandi eventi. La clientela è di grande eterogeneità, dalle immancabili coppiette hipster ad ambigui 40enni norvegesi venuti a Milano solo per Furman, senza scordare i soliti inglesi immancabili a ogni concerto.
Ezra fin da subito ricorda come quello sia l’ultimo concerto del tour prima del rientro negli U.S.A.: effettivamente possiamo notare sulla band i segni di un lungo tour, i pezzi vengono eseguiti diligentemente rischiando però a tratti di sembrare un po’ piatti. Per fortuna ciò non crea alcun fastidio dato che Ezra riesce sempre a essere diretto e convincente come frontman, anche in un live dove l’acustica non è delle migliori.
Sul palco con Ezra ci sono batterista, sassofonista, bassista e un chitarrista/pianista, tutti ottimi musicisti. Sono i suoi “Boy-Friends”: un nome che, conoscendo il frontman, rende tutto più ambiguo. Ma nonostante le loro capacità, la sensazione è che Furman avrebbe mostrato al pubblico quella rabbia e voglia di riscatto che lo rendono unico anche se avesse suonato tutto il tempo senza accompagnamento: fin dall'inizio si dimostra loquace e simpatico sul palco, molto più di quanto non lo sia fuori.
Il live è stato perfettamente calibrato tra pezzi nuovi e vecchi, dalla rabbia di My Zero all’allegria di Pot Holes, senza scordare quella vena un po’ punk (Restless Year) che ogni tanto affiora. Nel pieno del concerto Ezra si è ritagliato una decina di minuti in solitario sul palco in cui lui e la sua chitarra ci hanno trasportato nel magico mondo del folk rarefatto e stridente, dove melodie dolci e romantiche vengono affiancate a liriche forti e dirette, senza troppi sofismi e peli sulla lingua. Non sono mancate canzoni estratte dal suo ultimo e non molto convincente EP, Teddy I’m Ready, che hanno preceduto la ciliegina sulla torta di questo concerto: I Wanna Destroy Myself, ormai un classico per i suoi fan.
Passando per la travolgente scarica emotiva di Lousy Connection ci avviamo verso il finale del concerto ma anche del tour, ed è proprio questa l’aria che si respira. Seppur provato dai molti concerti Ezra suona con la consapevolezza che il suo ultimo progetto è giunto al termine: è finito il tempo di promuovere l'album del 2015 Perpetual Motion People, ed è ora di guardare avanti.
In definitiva un live che ha mostrato appieno le capacità di quest’artista, il quale dopo dieci anni di carriera ha ancora ampi spazi per crescere e per farsi scoprire da un pubblico più ampio; nonostante infatti sia uno dei cantautori rock più promettenti degli ultimi anni, spesso è risultato un po' escluso dai riflettori dell’élite, a volte un po’ snob, della musica indipendente.
Sopra: foto di Jasper Thomas Gardner-Medwin