Dave Longstreth & Co. continuano ad |
Non era facile dare un seguito a Bitte Orca, un album capace di ampliare drasticamente le frontiere di quello che viene considerato pop nel terzo millennio, e allo stesso tempo di venire acclamato dalla critica, tanto da inserire i Dirty Projectors in una specie di sacra trilogia dell’indie rock classe 2009 (ovviamente insieme ad Animal Collective e Grizzly Bear).
Quando qualche mese fa sono arrivate le prime notizie su Swing Lo Magellan sembrava che la band avesse deciso di allontanarsi in qualche modo dall’accessibilità conquistata sull’ultimo album per ritornare ad un più alto grado di concettualità: le prime informazioni sui brani parlavano di una title-track ispirata “ai sistemi GPS” e di una Maybe That Was It scritta come risposta all’album degli Strokes This Is It. E poi quel titolo, che sembrava condensare in tre singole parole tutta la pretenziosità hipster di chi vuole far vedere di “avere cultura”, rimanendo però “alla mano” (lo, appunto).
E’ bastato poco tempo per capire che, ancora una volta, il leader della band Dave Longstreth aveva giocato con le nostre aspettative, quelle che vedono i Dirty Projectors sempre attenti a far cadere i riferimenti culturali alla moda per impressionare il pubblico più superficiale: il riferimento agli Strokes era una burla giocata ai danni dei giornalisti alla ricerca di facili titolazioni (e infatti sono stati in molti ad abboccare), mentre è bastato un primo ascolto al singolo Gun Has No Trigger per capire che la band si era mossa questa volta in tutt’altra direzione. Sparita la voglia di stupire a tutti i costi insieme alla bella Angel Deradoorian, quello che rimane è un arrangiamento di prim’ordine, nel quale i consueti cori femminili formano un tappeto per la voce mai così presente di Longstreth. Il risultato è qualcosa di inedito per i Dirty Projectors: un brano che riporta alla mente l’influenza R&B di Stillness is the Move, pur sostenendo un mood vagamente inquietante, lontano anni luce dalla luminosità che avvolgeva Bitte Orca.
Ora che ci ritroviamo tra le mani l’album completo, Gun Has No Trigger arriva solo come terzo pezzo, ma rappresenta la chiave di volta dell’intero disco: le 12 tracce mostrano un Longstreth sempre più sicuro dei propri mezzi e in grado di mantenere una precisa stilistica sia quando orchestra semplici arrangiamenti acustici (Just From Chevron, Dance for You), sia quando emergono inquietudini e scariche elettriche (l’apertura Offspring Are Blank, il rock destrutturato di Maybe That Was It).
In generale Swing Lo Magellan si presenta da subito come il più accessibile dei dischi finora sfornati dalla band: sono scomparse quasi del tutto le complicazioni dei dischi precedenti ed ogni traccia sembra essere un piccolo mondo autosufficiente. Rimane l’attenzione maniacale per gli arrangiamenti, che si esprime specialmente nelle voci di Amber Coffman e Haley Dekle, e nel gran lavoro ritmico (come al solito influenzato dai poliritmi africani) del nuovo batterista Mike Johnson. Ma ad emergere è soprattutto un certo grado di serenità e meno voglia di confondere le acque: la title-track è una semplicissima ballata in stile country-confessionale, mentre in Impregnable Question Longstreth non si vergogna di parlare apertamente d’amore e altri sentimenti universali, dando alla sua musica una profondità finora sconosciuta. Una vulnerabilità ben rappresentata dal numero che chiude il disco, Irresponsible Tune, nel quale Longstreth ci offre la sua migliore imitazione di un crooner anni ’50 (valanghe di riverbero sulla voce incluse), accompagnato solo da alcuni scarni accordi di chitarra acustica.
Quello che sorprende è proprio questa nuova maturità: se in passato molti lavori di Longstreth sembravano solo affascinanti esercizi di stile, ora finalmente le sue canzoni sono diventate pop nel senso migliore della parola, cioè abbastanza universali da parlare ad un pubblico che si spera diventi sempre più ampio.
D’ora in poi nessuno potrà più confonderli con altri imitatori come tUnE-yArDs: con Swing Lo Magellan i Dirty Projectors mostrano di avere ormai le spalle abbastanza grandi per svettare su tutti gli altri e realizzano il miglior disco ascoltato finora in questo 2012.