Dopo le intemperanze dei Grinderman, il Re Inchiostro torna con le atmosfere piu' rarefatte della sua intera carriera: peccato che manchino le canzoni da illuminare.
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Portatevi un plaid quando mettete su questo disco perché rischierete di sentirvi come un anziano all'ospizio del rock, coro gospel a parte.
Il Re Inchiostro si é sempre diviso tra la forza dell'invasato e la grazia dell'asceta, in entrambi i casi toccando il massimo del pathos. Dischi da asceta sono senz'altro The Boatman's Call e No More Shall We Part, in cui la misura e la castità servivano a mettere in luce la trama delle canzoni, perfetta. Rientra nella famiglia anche questo nuovo disco coi Bad Seeds, riuniti dopo le dissennatezze dei Grinderman: peccato che qui non ci siano grandi canzoni da illuminare e il pathos sia sacrificato all'atmosfera. Una soluzione nuova, ma un po' sciapa e incolore.
In apertura We No Who U R lascia interdetti: un loop esangue, un recitativo sobrio in primo piano, un coro spettrale e suoni sfocati sullo sfondo. Mai si é sentito Nick Cave flirtare così con ambient ed elettronica, aggiornando il proprio stile all'era del "post". Invano si attende qualcosa: basterebbero un suono diverso, una nota scelta per fare la differenza tra eleganza e rigor mortis. Ma qui non arrivano. Se c'é una forza, é tutta nell'evocazione della parola poetica.
Le due canzoni successive sono ancora più vacue: basso in loop, vagiti strumentali, tinte confuse, tutto é affidato al recitativo. Jubilee Street invece é il primo sussulto di Lazzaro: ci sono una batteria e una chitarra articolata, un crescendo e un finale gospel. Il pezzo ritorna sui territori già esplorati da The Lyre of Orpheus ma dopo tanta vaghezza sembra quasi un miracolo.
Mermaids é la ballatona del disco e fa da trait d'union tra nuovo e vecchio: la strofa d'atmosfera, il ritornello gospel. Come le sirene ha una sua forza ammaliante, peccato che sfumi in We Real Cool, l'ennesimo recitativo, talmente sfumato da sembrare senza contorni. Il disco tocca il fondo con Finishing Jubilee Street, che vi sfido ad ascoltare fino in fondo (ho detto ascoltare, non mettere su mentre spignattate in cucina).
Con Higgs Boson Blues finalmente il nostro Lazzaro risorge dalla tomba: canta sul serio, si fa possedere dalla musica, che monta lentamente come un'alta marea. E' un blues sofferente e allucinato che alla fine tocca l'estasi, grazie a Dio, quel Dio del Delta che ha ispirato a Cave le sue cose migliori, orgasmi e redenzioni comprese. Sul finale, la title-track é l'unico, tra i brani "spettrali", in grado di penetrare a livello sottocutaneo grazie alla tensione misteriosa, quasi arcana che l'attraversa. Così, con un'impennata di stile si chiude un disco che, nel complesso, lascia le stesse impressioni di un vapore grigio in un cielo spento.
C'é da aggiungere che, anche se risulta senz'altro meno divertente di Dig, Lazarus, Dig!!! e delle schitarrate dei Grinderman, e meno interessante delle recenti scorrerie nelle colonne sonore, questo nuovo disco coi Bad Seeds ha un lato buono che va al di là dei giudizi sul risultato; mostra un Nick Cave ancora sensibile alle trasformazioni, ma soprattutto desideroso di indossare di nuovo i suoi panni più alti: quelli che sono di Dylan, Cohen, Tom Waits, e veramente pochi altri. Ci rimane solo da sperare che il prossimo tentativo abbia un esito migliore.