28 agosto 2013: unica e attesissima data italiana per i Nine Inch Nails. A quattro anni dal Wave Goodbye Tour ritornano sul palco i pilastri dell'industrial (e non solo) americano con la seguente lineup: il chitarrista Robin Finck, il tastierista e bassista Josh Eustis dei Telefon Tel Aviv, il polistrumentista italiano Alessandro Cortini, il batterista Ilan Rubin, tutti ad affiancare ovviamente il deus ex machina Trent Reznor.
Oltre a riproporre vecchie perle, la band ha puntato sui pezzi dell’ultimo album Hesitation Marks, uscito qualche giorno dopo il live di Milano. Da sempre i Nine Inch Nails dal vivo si caratterizzano per la forza adrenalinica di tutti i componenti, che non si risparmiano dall'inizio alla fine: il risultato è che è praticamente impossibile andare ad un concerto dei NIN e non ballicchiare o ancheggiare (tipica mossa danzereccia dei new wavers sempre stanchi) tra un pezzo e l'altro.
In apertura abbiamo visto i Tomahawk, non totalmente apprezzati dal pubblico che era fin troppo impaziente e non è riuscito a seguire fino in fondo gli sperimentalismi alternativi di Mike Patton. Poi Reznor entra in sordina, con le luci ancora accese sul palco, ma ben presto ci si rende conto che è un vero e proprio frontman; i Nine Inch Nails sono una sua creatura ed è lui l’animale da palcoscenico: Trent si esibisce e dà il meglio di sè, non è solo un ineccepibile esecutore. Il pubblico va subito in visibilio e così inizia questo "rave raffinato".
La prima è la nuova Copy of A ed è subito elettronica pura mentre il frontman dà l’avvio alla performance “giocherellando” con un piccolo sintetizzatore per poi avanzare al centro del palco, seguito dai componenti del gruppo. Alle spalle della band le loro ombre proiettate su enormi pannelli creano un’atmosfera allo stesso tempo misteriosa e coinvolgente. Dopo un’incursione nel passato con Sanctified, si ritorna al presente, tocca al singolo Came Back Haunted. Si accendono i neon, luci fredde, bianche e intermittenti. Il pubblico è entusiasta e partecipa attivamente cantando il pezzo; la voce e la verve coinvolgente di Reznor in questo caso sono una sicurezza. “Ho fatto bene a fare chilometri e chilometri, è tutto spettacolare, divertimento e professionalità assicurata” è quello che pensano in molti tra il pubblico, quelli come me che hanno fatto chilometri e chilometri per assicurarsi uno spettacolo di tale portata.
Dall’elettronica si passa alla batteria tosta di 1.000.000 dove il colore e il movimento delle luci ricopre un ruolo fondamentale per la riuscita dell’effetto scenografico. Seguono brani apocalittici quali March Of The Pigs e Piggy, il pubblico è sempre più eccitato e Trent cavalca l’onda interagendo con noi lì in basso, anche se il primo a divertirsi sembra proprio lui. L’intro al piano con The Frail, poi The Wretched, seguita dal salto nel passato remoto di Terrible Lie. Inutile negarlo: anche dopo venticinque anni di carriera i Nine Inch Nails sono un gruppo all’avanguardia, attenti in tutto e per tutto, ogni minimo suono è curato e studiato, nulla è lasciato al caso in studio come sul palco.
A seguire arriva la cover di I’m Afraid Of Americans, brano di David Bowie ma prodotto e remixato da Reznor. Poi il fuoco di luci e il boato dei fan introduce Closer, mentre il volto del cantante viene proiettato sui pannelli e sembra quasi divorare il pubblico; un salto nel 1992 con il ritmo incalzante di Gave Up al ritmo frenetico delle luci che vanno dalle tonalità del blu al rosso. Mood più rilassato invece per Me I’m Not e per la nuova Find My Way. Siamo quasi alla fine e i NIN sembrano instancabili: si procede con il groove e i riff di The Warning, a seguire What If We Could? e The Way Out Is Through, per poi tornare ad un sound più rock con Wish. Le atmosfere rimangono pesanti con The Good Soldier, ma è con Only che il pubblico si scatena davvero, e si balla fino allo sfinimento. Il climax prosegue con The Hand That Feeds, per poi passare alle sfumature più dark delle origini con Head Like a Hole, mentre il pubblico canta e strepita. I brividi finali sono tutti per Hurt, una preghiera universale, che chiude uno spettacolo-concerto davvero inimitabile.
Passa il tempo, ma i NIN restano una delle poche conferme per professionalità, sperimentazione e spettacolarità. Le scenografie minimal ma d’effetto riescono a mettere in ulteriore risalto il talento di Reznor, con la musica vera grande protagonista della serata, e sembrano quasi volerci insegnare una lezione: a volte, quando ci troviamo di fronte ad un grande artista, non ci sono fronzoli che tengano.
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Setlist:
Copy of A
Sanctified
Came Back Haunted
1,000,000
March of the Pigs
Piggy
The Frail
The Wretched
Terrible Lie
I’m Afraid of Americans (David Bowie cover)
Closer
Gave Up
Help Me I Am in Hell
Me, I’m Not
Find My Way
The Warning
What If We Could? (Trent Reznor and Atticus Ross cover)
The Way Out Is Through
Wish
Survivalism
The Good Soldier
Only
The Hand That Feeds
Head Like a Hole
Hurt
Sopra: "Trent Reznor", foto di Plain Alicia's Photography