The Horrors – Luminous (Recensione)

The Horrors – Luminous (Recensione)

2017-11-08T17:15:46+00:003 Ottobre 2014|


The Horrors Luminous
Al quarto disco la band inglese conferma i suoi pregi e difetti: ma tra un riferimento agli anni '80 e l'altro, questa volta viene voglia di andarsi a riascoltare gli originali.

5,5/10


Uscita: 5 maggio 2014
XL Recordings
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'The Horrors? Ma che è, una reunion? Non erano in giro negli anni '60?'. Questo è ciò che viene da pensare, a sentirli nominare per la prima volta. E non a torto: del garage rock anni '60 ricordiamo soprattutto i nomi delle band – quasi tutte 'The Qualcosa', molte con riferimenti a immaginari del delirio, dell'orrore o della fantascienza un po' splatter.

Al di la' di quel che c'è scritto sul barattolo, la musica dei The Horrors è stata prevalentemente classificata come garage/gothic rock e revival post-punk, ed è conseguenza diretta della formazione dei suoi membri, tutti cresciuti a pane e Bauhaus. Nei primi anni 2000, il bassista Rhys Webb conosce Faris Badwan (voce) e Tom Cowan (tastiere) nella natia Southend-on-Sea, cittadina marittima dell'East Essex a ridosso dell'estuario del Tamigi, il cui clima perennemente balneare e la costante presenza di turisti ha in qualche modo influito nell'irritare i tre al punto di spingerli a fondare un club underground chiamato Junkclub e a rinchiudersi in sala prove insieme a Joshua Hayward (chitarra) e Joe Spurgeon (batteria).

Dal debutto del 2006 con il singolo Sheena is a Parasite, sono passati tre album sotto i ponti del Thames: Strange House del 2007, Primary Colours del 2009 e Skying del 2011 – tutte produzioni accolte dalla critica con neutralità sommaria, e con medio tepore dal pubblico. Come ha ben sintetizzato Stuart Berman di Pitchfork già a proposito del loro primo EP, "anche se l'album difficilmente risulterà sconvolgente per chiunque abbia già forgiato i suoi primi ascolti con B-52, The Cramps, o The Damned, al confronto con il solito tipico circo Brit indie-patinato e fashionista, i The Horrors ne escono come una lussuriosa, cruda, corroborante anomalia". Essere definiti come un "male minore" non è certo il massimo, ma si può dire lo stesso dell'ultimo LP?

Luminous è stato auto-prodotto e pubblicato dalla band a maggio, e distribuito da XL Recordings, con la promessa di essere 'divertente e ballabile' e di avere un sound 'differente', ispirato al soul dell'era Motown, e (sorpresa!) a Beyoncé. In un'intervista per il magazine scandalistico inglese Daily Star, Rhys Webb ha infatti dichiarato: 'Beyoncé non sembrerebbe essere la nostra più ovvia influenza musicale. Ma le sue canzoni sono come dei classici Motown in versione moderna, e ci identifichiamo più con questo concetto che con ciò che viene prodotto da altri nostri contemporanei'. Il fil rouge del 'meno peggio' acquista quindi un certo spessore.

In apertura troviamo Chasing Shadows, pensata 'come una track techno', che si sviluppa effettivamente in un crescendo trance, per poi diventare qualcosa come la versione rallentata e annoiata di It's Alright It's Ok dei Primal Scream (opening track del loro ultimo More Light). Bobby Gillespie e compagni tornano come influenza anche in First Day Of Spring, descritta dal chitarrista Joshua Hayward come un 'treno in corsa che non ha nessuna intenzione di fermarsi', e dal tastierista Tom Cowan, come 'uno dei pezzi meno elettronici dell'album'. Il brano ha un'impostazione in tutto simile a Hit Void, ma non ne conserva l'energia: la smorza anzi in uno stile dark-wave che si rifa al sound di gruppi come The Chameleons, o The Comsat Angels, privandolo però della carica emotiva 'oscura' tipica di queste band . Risultato: una sorta di new-wave radio-edit, né carne né pesce.

So Now You Know – Così adesso lo sapete. Sapevatelo. Anche questa terza traccia 'sa' di 'già saputo' e di già sentito – anzi a dirla tutta, è un pastone informe tra una cover depressa di Material Girl di Madonna e un pezzo qualunque degli U2, il tutto ricoperto da quella specie di patina simil-dark-wave di cui sopra. In And Out Of Sight entra a sua volta con la stessa grazia con cui si aprono le porte scorrevoli automatiche all'ingresso del supermarket, e tra la corsia dei pannolini e quella dei dentifrici e colluttori, ti ritrovi senza (o con fin troppa) poesia inondato di musica inopportuna, che pompa dagli altoparlanti mentre tu non volevi nient'altro che la carta igienica. Come a dire, gli anni '80 sono ancora qui, inaspettatamente tra noi, e ti senti quasi in colpa non comprando almeno un po' di lacca per capelli. Senz'altro il ritmo è catchy&groovy, e sarebbe appunto inopportuno ballare con una confezione da 12 rotoli sottobraccio in mezzo alle mamme coi passeggini, ma il pezzo sfiora il trash al punto che si potrebbe addirittura tentare. Il vero problema è che i Soft Cell rimangono nettamente superiori, nonostante il lodevole tentativo con tastiere kraftwerkiane.

Le cose cominciano a farsi un attimo interessanti con Jealous Sun, forse perché sembra un pezzo dei Best Coast (sempre al rallentatore), con un testo in puro stile Bethany Cosentino: "Anywhere you go and everywhere I follow / Take your love, and take your tomorrows / Because your love isn't enough / Don't let it all slide away, under jealous sun now / Don't let it all slide away, under jealous sun together [repeat]". Falling Star conferma l'andazzo Best Coast/tropical-garage in versione downgrade con tocco di malinconia, a discendere. La rara bruttezza del brano, che va a chiudersi in un crescendo kitsch di archi e batterie e suoni elettronici da canzonetta pop all'italiana anni '60, lo accosta tristemente a un'altra collezione di canzoni (brutte), ovvero Bloodsports dei Suede.

A proposito della successiva I See You, il bassista Rhys Webb ha dichiarato: 'Quando stavamo scrivendo l'album, questo brano ci ha fatto capire che stavamo andando nella giusta direzione. Ha cominciato a dar forma al quadro generale finale'. Peccato che la direzione sia proprio quella intrapresa dai Suede con Bloodsports:Il pezzo in sé prende a piene mani dal filone darkwave di gruppi come A Flock of Seagulls (viene in mente Space Age Love Song), ma in versione 'polished', che guarda più all'immediata fruibilità del pop che non a un'autentica celebrazione retrò o a più lungimiranti esplorazioni di possibilità sonore rivolte verso il futuro. E ancora, in chiusura, troviamo pacchianate multistrumentali epiche sempre in crescendo.

L'unico pezzo sinceramente fin qui apprezzabile è Change Your Mind, ballata delicata e senza pretese, forse il solo brano in cui davvero si avverte la fusione tra garage e dark-wave grazie alle chitarre riverberate e "surfiste", ad una linea vocale che si posa finalmente sulle sue corde, e ad un ritornello che si esprime in aperture e code felicemente smithsiane. Mine And Yours decide di riprendere i temi dark-wave di First Day Of Spring, riaggiustandone il tiro e riportandolo a una dimensione più vicina a quello che (si pensa) vorrebbe essere la band, dove le chitarre azzardano riff più avventurosi ma con la stessa pecca di smarmellamento specie nelle chiusure.

Arrivati a questo punto, però, ascolto Sleepwalk e mi mancano inspiegabilmente gli Spandau Ballet di Gold, gli Human League di Don't You Want Me, persino i Duran Duran di Save a Prayer…insomma non si capisce proprio perché la sensazione finale, al termine di questo Luminous, non corrisponda affatto al desiderio di un riascolto, quanto piuttosto alla volontà di andarsi a ricercare le sonorità matrici e ispiratrici di questo prodotto, che forse (si ipotizza) per volontà di compiacere un certo tipo di mercato, e di rimanerci, sceglie di non compiere scelte musicali definitive, non spicca il volo e non vibra. Comunque almeno una cover di Beyoncé potevano anche infirlarcela, visto che l'hanno già realizzata