Ritorno al passato senza botto: dopo ventitre' anni di attesa i Pixies tornano in studio e il risultato non e' nulla di entusiasmante.6/10Uscita: 19 aprile 2014 Pixiesmusic / PIAS Compralo su Amazon: Audio CD |
Dopo aver chiuso la prima parte della loro carriera con Trompe Le Monde (1991), i Pixies sembravano destinati ad appartenere al passato, specialmente per quanto riguarda la registrazione di nuovi brani. L'immancabile reunion, che li ha visti portare in giro i vecchi brani a partire dal 2004, non ha infatti prodotto alcun frutto musicale nei suoi primi nove anni di esistenza, se si esclude la trascurabile Bam Thwok. Ma dall'anno scorso qualcosa è cambiato: a partire da settembre 2013, quasi in contemporanea con l'addio della bassista Kim Deal, i tre membri superstiti hanno ricominciato a pubblicare brani inediti contenuti su alcuni EP, raccolti poi in questo album, Indie Cindy, che rappresenta una sorta di compilation delle canzoni pubblicate negli ultimi mesi, e non, come potevano sperare i fan, il nuovo capitolo di una carriera interrotta 23 anni fa.
Indie Cindy è stato registrato e prodotto dallo storico collaboratore della band di Boston Gil Norton, già al lavoro su tre dei quattro LP classici registrati dal quartetto. Al basso, al posto della dimissionaria Kim Deal, troviamo Simon "Ding" Archer, già sostituito nel frattempo con altre due bassiste, la leader dei Muffs Kim Shattuck e la più docile Paz Lenchantin (A Perfect Circle, Zwan). L'album si apre con un brano interessante (What Goes Boom), almeno per quanto riguarda la parte musicale: un urlo iniziale unito alle chitarre onnipresenti, in leggero contrasto con la dolcezza della voce di Black Francis nelle strofe, Segue Greens and Blues, canzone dai suoni più armonici e pop, che ricordano gli anni d'oro del gruppo. Anche troppo: Greens and Blues sembra quasi la sigla di un telefilm dei tempi andati, uno di quelli che presenta i personaggi uno ad uno con tanto di didascalia, per intenderci una specie di Settimo cielo degli anni ’90. Non proprio una canzone adatta al 2014, insomma.
Indie Cindy, traccia numero 3, fa guadagnare qualche punto alla produzione: chitarre ritmicamente perfette, una batteria semplice e la solita voce camaleontica, capace di passare dalle strofe recitate con la necessaria cattiveria e determinazione a ritornelli cantati in modo dolcissimo. David Lovering si scatena alla batteria nel brano successivo Bagboy, ottimo a livello musicale, ma che ci lascia qualche dubbio a livello vocale; nelle strofe il frontman è infatti accompagnato da cori di voci maschili che lasciano molto a desiderare: assomigliano quasi a un gruppo di alpini ubriachi che cercano inutilmente di dire qualcosa. Grossa pecca per il brano, che senza questo dettaglio potrebbe funzionare benissimo e sarebbe perfettamente in linea con la carriera dei Pixies.
La grande storia del quartetto si riaffaccia soprattutto in Magdalena 318, una canzone che pesca a piene mani dal passato della band statunitense: peccato che il brano venga però distrutto, sul finale, da una dissolvenza che fa perdere tutta la magia che la musica può creare, lasciando un vuoto comunicativo non indifferente. Blue-Eyed Hexe è forse il brano migliore del disco: non solo per la verve e l’energia che è in grado di trasmettere, ma per il modo in cui è costruito. Molto buone le chitarre, la sezione ritmica e la sempreverde voce di Frank Black. Seguono due tracce tipicamente americane, da cantare in macchina mentre si percorre una lunghissima highway: Ring the Bell e Another Toe in the Ocean, canzoni senza grosse particolarità e che non si fanno ricordare.
A seguire, Andro Queen è invece degna di nota: suoni semplici e voce effettata al punto giusto, senza troppi fronzoli. Ecco la chiave di una canzone strutturalmente buona e capace di restare nelle teste degli ascoltatori, peccato che non si possa dire lo stesso anche degli altri brani. Segue Snakes, un brano che potrebbe essere passato in radio, quasi pop grazie alla sezione ritmica e a un ritornello ben definito che avverte dell’imminente arrivo dei serpenti in città. Certe cose non cambiano mai: ad esempio resta impossibile decifrare cosa vogliano dire i testi dei Pixies!
L'album si chiude con Jamie Bravo: sicuramente è il brano adatto a salutare gli ascoltatori alla fine di un disco come Indie Cindy. Un coro di “goodbye and goodnight”, buono anche questo per una sitcom televisiva, segna la fine di un disco che non mi ha entusiasmato troppo. E sembra proprio essere l'entusiasmo l'ingrediente mancante in molte di queste nuove canzoni. Il gruppo non ha voluto osare e sperimentare, preferendo riproporre schemi triti e ritriti, senza esagerare. Per quale motivo? Per non deludere i fan? Perché troppo vecchi ormai? Perché privati di una delle loro colonne portanti? Non possiamo saperlo, ma senza ombra di dubbio Indie Cindy è una delusione per chi lo aspettava da ben 23 anni; un album senza nemmeno un brano veramente inedito e composto da canzoni stanche e ripetitive rischia quindi di andare ad intaccare il ricordo di quei quattro LP perfetti sfornati tra anni '80 e '90.
Perché per fare un disco nuovo dei Pixies forse sarebbe stato necessario ricordarsi del peso legato a questo nome: non bastano i singoli elementi per ricreare l'antica magia, e immancabilmente il disco finisce nel dimenticatoio dopo qualche ascolto.