Indiemood Sessions Vol. 5: The Diplomatics

Indiemood Sessions Vol. 5: The Diplomatics

2014-12-01T11:55:11+00:001 Dicembre 2014|

 

Tra i tanti generi musicali affrontati dalle nostre Indiemood Sessions finora (l'alternative rock di The Burlesque, lo stoner-rock dei Quiet Confusion, lo swing de La banda del pozzo e il cantautorato blues di Lil Alice) il punk mancava ancora all'appello: ma per il nostro quinto appuntamento ecco The Diplomatics, quintetto vicentino in puro stile '77, a partire dallo stile fino all'estetica dei tre accordi cara ai Ramones.

Qui sotto potete vederli in un'inedita versione acustica e a ranghi ridotti, mentre suonano la loro Needings su una barca a spasso per i canali veneziani, nel video realizzato come al solito da Indiemood Press Office. A seguire inoltre trovate anche la nostra intervista alla band: buona visione e buona lettura!

La prima domanda è sempre quella di rito. Chi sono i Diplomatics? Qual è la cosa fondamentale che dobbiamo sapere di voi?

I Diplomatics sono una band punk-rock nata nel 2012 da alcuni membri già attivi da anni nel panorama rock vicentino. Il nostro punto di riferimento è appunto Vicenza e provincia. La cosa fondamentale che la gente deve sapere è che siamo cresciuti suonando rock’n’roll e che lo sappiamo fare molto bene.

Non nascondete di prendere ispirazione dalla scena punk anni ’70. Oltre alle strutture musicali che in un certo senso siete “costretti” a seguire, qual è l’aspetto del punk che più vi sta a cuore?

L’aspetto del punk che più ci sta a cuore è la sincerità di espressione: quello che noi suoniamo e quello che diciamo nei nostri pezzi è estremamente sincero e trasparente. Non “bleffiamo” nella scrittura delle canzoni e non abbiamo paura a esprimerci liberamente, proprio come alcune band di matrice punk degli anni '70. Anche se il mainstream spinge in un’altra direzione noi continuiamo a suonare quello che ci piace in maniera coerente e diretta.

Il punk oggi è una realtà che si è talmente ramificata in altri generi da aver quasi perso la sua essenza originaria. Cosa significa fare punk nel 2014? Ma soprattutto quali sono i messaggi che il punk può ancora lanciare nella società di oggi?

Proprio ora, nel 2014, penso ci siano i presupposti sociali per lasciarsi andare e dire veramente ciò che si pensa. La situazione politica, il mondo del lavoro, le prospettive verso il futuro dovrebbero metterci di fronte alla scelta di fare qualcosa di importante; le persone dovrebbero alzarsi dalla comoda poltrona di casa e dire no, cosi non si va avanti, bisogna alzare la voce e tirar fuori la rabbia che abbiamo dentro. Nel 2014 più che mai si dovrebbe tornare alle origini, con la stessa frustrazione di band storiche dell’epoca e lanciare il messaggio che il futuro siamo noi e che se non facciamo qualcosa con il cuore ci ritroveremo tutti sulla strada. Il punk come il rock e la musica in generale sono tuttora degli strumenti forti per scuotere i sentimenti delle persone e farle alzare dalle loro poltrone.

La vostra città di origine è Vicenza, ma nelle vostre scelte è ricercata l’internazionalità. E’ un modo per scrollarsi di dosso l’italianità, una via di fuga o semplicemente un modo di essere?

Siamo orgogliosi di appartenere alla scena vicentina, terreno fertile di band rock e di persone talentuose. In Italia tutti invidiano il panorama musicale veneto e fanno bene a farlo; spesso noi vicentini tendiamo a lamentarci ma siamo fortunati ad avere ancora spazi molto belli in cui esprimerci. La nostra internazionalità nasce dal fatto che le band che ascoltiamo sono inglesi, americane, australiane. Risulta automatico quindi avere radici diverse, d’altronde nel 2014 è giusto che sia cosi, non ci si può limitare al Veneto o all’Italia.

Da poco avete presentato Don’t Be Scared, Here Are the Diplomatics. Parlateci un po’ dell’LP.

L'LP appena uscito è il frutto di un anno e mezzo di lavoro tra stesura compositiva e registrazioni. Il disco è stato registrato in analogico su bobina all’Outside Inside di Montebelluna durante un weekend di giugno. La scelta dell’analogico deriva dal fatto che volevamo essere diretti e incidere tutta la nostra energia in maniera genuina, cosi come si presenta, senza troppi ritocchi. L’album è stato co-prodotto da Matteo Bordin (Mojomatics, Squadra Omega), che ha fatto un lavoro strepitoso aiutandoci a trovare il suono giusto. Contiene 8 pezzi, 4 su ogni lato, e racconta le nostre esperienze, le nostre idee, il nostro dolore e la nostra rabbia; ogni canzone racconta una sua storia particolare. Abbiamo curato da questo punto di vista anche la stesura dei testi. Devo dire con orgoglio che il disco è veramente completo in tutto, dal suono ai testi: per noi è veramente un lavoro unico.

Qual è la canzone alla quale siete più affezionati? E perché?

Non abbiamo un vero e proprio pezzo cui siamo più affezionati: penso che ognuno di noi ne abbia uno diverso cui è legato di più. Personalmente sono affezionato alla traccia conclusiva Don’t Let Me Go perché parla del dolore e della solitudine conseguenti alla perdita di una persona cara. Il testo è profondo ed è stato scritto da tutti noi assieme: penso che ogni persona possa ritrovarsi in questo testo, nella sua poesia e percepire la nostra solitudine e tristezza.