I Dinosauri ancora una volta
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Il nuovo album dei Dinosaur Jr. non perde tempo per cercare di suonare differente dai dischi che l’hanno preceduto: appena parte il primo brano Don’t Pretend You Didn’t Know non si può fare a meno di notare il simil-mellotron che occupa lo sfondo del pezzo, mentre chitarra basso e batteria disegnano un’agile melodia pop in primo piano. E se vi dicessi che nei seguenti cinque e passa minuti abbiamo anche un pianoforte e uno strano ibrido chitarra-sintetizzatore, che va a sostituire gli amati assoloni di J Mascis?
Niente paura: non siamo di fronte ad una crisi d’identità da carriera avanzata. Anche se in quasi trent'anni non sono mancate le deviazioni dalla regola chitarra-basso-batteria, spesso con risultati eccellenti (Thumb su Green Mind, Not the Same su Where You Been), anche questa volta J Mascis continua la tendenza inaugurata da quando la formazione originale con Lou Barlow e Murph si è riunita nel 2005: un altro solido album di potentissimo alternative rock senza fronzoli, solo occasionalmente affossato da qualche brano un po’ troppo strascicato o da qualche arrangiamento non proprio nuovissimo. Tuttavia piazzare un brano del genere in apertura sembra essere una dichiarazione d’intenti, e mostra per la prima volta una volontà di rinnovamento assolutamente apprezzabile.
Ci pensano poi le restanti nove tracce a mostrare come l’innovazione non sia neanche questa volta nell’agenda del trio di Amherst: il consueto assalto sonoro viene questa volta movimentato con una netta suddivisione tra brani lenti e sferzate pop-punk. I Dinosauri, insomma, si rivelano fedeli al loro nome: a partire dal buon singolo Watch the Corners, Mascis riempie i suoi brani con quegli assoli che ne hanno fatto l’unico credibile guitar hero dell’indie rock, e si permette anche di provare nuovi arrangiamenti acustici (Almost Fare) e una rabbiosa sgroppata quasi punk (Pierce the Morning Rain). Non convincono invece i brani più lunghi: la letargica Stick A Toe In non riesce ad emozionare come faceva Plans sull’album precedente, mentre What Was That sembra molto più lunga dei suoi cinque minuti e mezzo. Il problema sembra essere la scrittura: Mascis (che ha pubblicato due anni fa uno dei suoi lavori più riusciti, l’acustico Several Shades of Why) spesso si perde tra ripetizioni di vecchi riff (See It On Your Side risulta molto simile a Said the People) e idee non proprio felici (la cowbell di I Know It Oh So Well, che va a guastare un brano fino a quel punto decisamente piacevole).
Per fortuna a salvare il disco arrivano inaspettatamente i due brani scritti da Lou Barlow: laddove in Farm il bassista era apparso decisamente sottotono, qui ci presenta un frizzante numero pop-punk (Rode) e soprattutto quello che è forse il brano migliore, Recognition. Oltre ad offrire più spazio per le acrobazie del batterista Murph, Lou è in forma compositiva smagliante: la sua voce mai così melodica rappresenta una boccata d’aria rispetto alla cadenza strascicata di J, mette impietosamente in luce i limiti nella scrittura del leader e fa ben sperare per il ritorno dei suoi Sebadoh, che dovrebbero pubblicare un nuovo album l’anno prossimo.
In definitiva, I Bet On Sky si inserisce perfettamente nel solco degli album post-reunion della band: il trio continua ad essere una forza della natura (specialmente dal vivo), ma dal punto di vista compositivo i brani scritti da Mascis sembrano essere giunti ad uno stallo. Per trovare una sequenza di accordi capace di emozionare, bisogna aspettare la conclusiva See It On Your Side, che comunque non si avvicina a quanto espresso da Barlow con solo due pezzi. Se si conosce un minimo la storia del diffile rapporto tra i due, che li ha portati ad odiarsi per quindici anni, per poi ritrovarsi solo dopo aver firmato una sorta di “pace armata” con lo scopo di nutrire le rispettive famiglie, potete capire come un disco dei Dinosaur Jr. con i pezzi migliori scritti da Lou Barlow rappresenti un’inquietante campanello d’allarme sullo stato del gruppo.
Dopo Farm, I Bet On Sky è un’altra fotografia che ci mostra come invecchia più che dignitosamente un’istituzione dell’alternative rock. Dio ce li conservi così come sono: vorrà dire che per trovare innovazione e sperimentazione ci rivolgeremo, come è giusto, a qualcuno di più giovane…