Ognuno di noi idealmente avrà stilato, una volta nella vita, l'elenco delle cose che desidera fare prima di morire: surfare le onde del Pacifico, percorrere l'India a piedi, suonare uno strumento in una band, e magari anche riscuotere successo.
I più fortunati riescono a barrare alcuni punti della lista molto prima del tempo dovuto, avendo l'opportunità di aggiungerne di nuovi: sarebbe bello immaginare così giustificata la scelta di Trevor Powers, in arte Youth Lagoon, giunto alla decisione di abbandonare il progetto musicale intrapreso nel 2010 una volta concluso quest'ultimo tour. Si presti attenzione, perché i tre album realizzati in questi anni non hanno ricevuto riscontri fallimentari, tutt'altro: Trevor, dai tratti androgini e dalla voce angelica, ha conquistato il favore del pubblico internazionale spaziando dalle prime sperimentazioni lo-fi e psych rock a sonorità dream pop delicatissime.
Potersi permettere una battuta d'arresto a soli ventisei anni, con l'intenzione di dirigere il proprio talento verso lidi più creativi, è un privilegio concesso a pochi. Concesso e meritato, poiché di Youth Lagoon non possono che spendersi parole lodevoli, a proposito di una produzione musicale raffinata e intimista, che sembra quasi voler far luce sul labirinto disegnato dal suo giovane autore.
La cornice adatta a quest'occasione specialissima di congedo si conferma, ancora una volta, quella del Monk Club di Roma, venue ospitante la maggior parte dei live capitolini da un paio d'anni a questa parte. In apertura, l'accoglienza a un pubblico non particolarmente numeroso viene affidata ai Mild High Club, band psych dalle origini divise fra Chicago e Los Angeles, guidata dal frontman Alex Brettin – che sfoggia per l'occasione una bombetta rossa con cui invita tutti a riconoscerlo e a parlargli dopo l'esibizione. L'ascolto scorre piacevole, non degno di note significative, a presentare l'album Timeline, pubblicato lo scorso anno. Il pensiero va ad Ariel Pink e Mac DeMarco, con cui il gruppo si è spesso esibito ed ha avuto modo di collaborare: in comune hanno, senza dubbio, sia l'atteggiamento da consumatore abituale di droghe leggere, sia il sound soft rock leggero, che ci fa dondolare intervallandosi a qualche tocco di chitarra più psichedelico, lasciando tutti i presenti in uno stato di pace e serenità cosmiche, avvolti da vibrazioni positive.
Conclusa la mezz'ora di introduzione, giungono sul palco Trevor e i suoi musicisti (ndr. il batterista sarà un fenomeno), avviando il live con due brani estratti dall'ultimo disco Savage Hills Ballroom, No One Can Tell e Highway Patrol Stun Gun. Sarebbe ingiusto insistere sulla giovane età di Powers, poiché non è un fattore che lo rende meno esperto e padrone della scena: da subito calamita l'attenzione con le sue movenze contorte, sembra sentire visceralmente ogni nota che intona e catalizza tutta l'energia possibile, riversandola sulla tastiera e sul synth che ha di fronte. Incarna quello che canta, lo interiorizza e lo caccia fuori con foga, anche liberandosi fisicamente dalla sua postazione a lato del palco, saltando e scalciando, agitando le braccia per tutto il palco.
Si prosegue con Sleep Paralysis ed Again, e ancora Doll's Estate. Menzione d'onore per i musicisti che accompagnano Powers, non semplici figure di sfondo rispetto a un protagonista così vulcanico, ma personaggi a sé stanti di grande bravura, per una volta non tenuti a soffrire della scarsa acustica che del Monk, spesso, è nota dolente. L'atmosfera è onirica, alternando momenti di raccoglimento e riflessione a tempeste di batteria, come se si assistesse a un'opera teatrale musicata da un'orchestra. Terminato anche Dropla, uno degli estratti da Wondrous Bughouse (2013), il gruppo si avvia alla conclusione sulle note di una versione accorciata di Mute, per poi lasciare il palco.
Nel bis Trevor torna da solo a dedicare al pubblico 17, tratta dal suo incredibile disco d'esordio The Year of Hibernation, del 2011. La bellezza arriva al suo apice, lasciando intendere quanto personale sia tutto ciò che questo artista ha composto negli anni, ricordando il significato che l'album di debutto porta con sé, come testimonianza di un periodo difficile attraversato da Powers, nel quale si era ritrovato spesso a combattere la paura della morte e frequenti attacchi di panico. Un genio che si racchiude in un corpo esile, una potenza stupefacente e, allo stesso tempo, lieve nel tocco.
Dispiace profondamente la consapevolezza che si sia trattato dell'ultimo live di Youth Lagoon, per quanto importante sia stato esserci, ma resta la gioia di attendere qualcosa di nuovo, e altrettanto memorabile.
SCALETTA:
No One Can Tell
Highway Patrol Stun Gun
Cannons
Rotten Human
Sleep Paralysis
Again
Doll's Estate
July
Officer Telephone
The Knower
Kerry
Dropla
Mute
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17