Devendra si trasferisce a New York e tenta una svolta di immagine e suono: ma le sue delicate canzoni d'amore non convincono del tutto.
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Se avessi scoperto tre anni fa che Devendra Banhart si era fidanzato ufficialmente con una modella serba probabilmente il mio cuore si sarebbe spezzato. Nei lunghi pomeriggi invernali ho spesso segretamente sognato di essere sposata con quel fricchettone pieno di braccialetti: avremmo passato le nostre giornate a suonare la chitarra, scalzi, e a fare la marmellata di fragole nella nostra casetta in mezzo agli alberi.
Ma in questi tre anni sono successe molte cose. Devendra, l'hippy del mio cuore, fin dal suo esordio ci aveva abituati bene: faceva un disco dopo l'altro pieno di canzoni strampalate, collaborava con chiunque, saltellava per i palchi di mezzo mondo senza camicia ma con la faccia dipinta, tanto che pensavo avesse il dono dell'ubiquità. Gli avevo perdonato anche la storia d'amore con Natalie Portman, tanto erano adorabili travestiti da divinità hindu e pieni di gioielli nel video di Carmencita.
Poi è arrivato il 2009 con il deludente What Will We Be e Devendra si è dato una calmata. Ha smesso di fare tour dappertutto e di comporre canzoni nuove, ha abbandonato la west coast per trasferirsi nella Grande Mela e per scoprire qualcosa su di lui ero costretta a cercarlo nei siti di gossip. Quando ha cominciato a farsi vedere alle opening delle mostre più cool di New York vestito da perfetto bohemien ho iniziato a preoccuparmi; al taglio di barba e capelli ho temuto davvero che tutto fosse perduto. Poi è arrivato l'annuncio del fidanzamento ufficiale con la fotografa e modella magrissima Ana Kras e contemporaneamente quello dell'uscita del suo disco numero 8, Mala. Confusa, ho deciso di aspettare un attimo, di fare finta di non capire che Devendra era diventato un hipster e ascoltare il suo nuovo disco non con la testa, piena di pregiudizi, ma con il mio cuore di fanciulla innamorata.
Mala esce per Nonesuch, costola della Warner per cui incidono artisti come David Byrne, Wilco e Caetano Veloso. E' stato composto nella vecchia casa di Devendra a Los Angeles e registrato a S. Francisco con strumentazione vintage, suonato quasi interamente da lui, se si esclude l'aiuto di Josiah Steinbrick alle tastiere e al sax. A un primo ascolto l'album scorre veloce e lieve con le sue brevi canzoncine in bilico tra il folk e il pop, senza scatenare grandi entusiasmi né delusioni. Uno degli elementi che lo distinguono da tutti i lavori precedenti è proprio questa leggerezza di fondo, questa atmosfera distesa, tanto che sembra quasi che le canzoni accarezzino l'ascoltatore tanto sono delicate. Devendra canta in spagnolo, inglese, addirittura in tedesco in un duetto con l'amata Ana, mescolando la chitarra folk con bizzarri synth per creare trasandati suoni anni '80.
E' un album fatto di canzoni carine, musicalmente minimali, che si concentrano tutte attorno a un unico tema: parlano d'amore, ma non raccontano estasi o dolori. I testi sono sicuramente la parte più riuscita di Mala, quasi dei piccoli haiku amari sull'amore. Devendra descrive lucidamente tutti gli aspetti egoisti e meschini che ogni storia d'amore porta con sè, ma lo fa in maniera serena, lieve, sembra quasi volerci dire che è inevitabile, siamo tutti destinati a cascarci dentro quindi tanto vale abituarsi agli alti e bassi amorosi. Se è vero che, come ha lui stesso dichiarato, il disco è stato ispirato dalla storia con Ana, non riesco a capire come mai le canzoni siano così lontane dalla perfetta felicità amorosa che i due ostentano per esempio nello spot pubblicitario a dir poco sdolcinato del brand francese di abbigliamento très-chic The Kooples, di cui sono testimonial.
La soavità delle melodie non rende infatti le riflessioni sull'amore meno spietate: "If we ever make sweet love again/ I'm sure that it will be quite disgusting", canta Devendra in Never Seen Such Good Things. In una delle canzoni più riuscite del disco, Your Fine Pretty Duck, Devendra e Ana duettano in inglese e tedesco passando dal folk lento all'elettronica anni '80, e non si dedicano l'un l'altra versi propriamente romantici: "If he ever treats you bad / Please remember how much worse I treated you", sussurra infatti Devendra alla fidanzata. Forse la risposta sta proprio in quel titolo Mala, che come dichiarato dal musicista è stato scelto perché ha molti significati diversi a seconda della lingua: "cattiva" in spagnolo, "tesoro" in serbo.
Nei versi ritrovo a tratti il Devendra freak e stravagante che amavo: c'è la minimale Für Hildegard Von Bingen, un'ode alla monaca e mistica medievale Hildegard von Bingen (a cui pare sia devoto anche Damon Albarn), che Devendra immagina uscire dalla sua clausura per diventare una vj di MTV; o Daniel, brano jazzy malinconico che racconta di un amore trovato e perduto nella fila per entrare al concerto dei Suede. Le melodie sono leggere ma malinconiche e fredde, e Devendra canta con voce talmente languida da risultare quasi pigra. Non mancano i momenti di pura bellezza, come Mi Negrita, dolce e adorabile pop-mariachi, la canzone migliore del disco, con Devendra che canta in spagnolo intervallato da un coretto; oppure la già citata Never Seen Such Good Things, brano di psych-folk trascinante basato su due linee di chitarra: ma purtroppo sono piccole perle isolate.
Ascoltando Mala sembra di essere continuamente in attesa di qualcosa in grado di dare una svolta, di scuotere le melodie, ma niente arriva a movimentare l'atmosfera tediosa: nessuna canzone entra in testa, ed è un vero peccato. Nel complesso è un album disorientante: i brani singolarmente sono carini, ci sono molti momenti gradevoli ma non convince, manca qualcosa. Probabilmente il punto è proprio la sua gradevolezza: forse è tutto talmente carino, pacato e leggero da diventare irritante e pretenzioso. Se il prezzo che Devendra ha pagato per aver abbandonato l'aspetto più eccentrico della sua musica (e della sua personalità) è questa leziosità e mancanza di coinvolgimento allora rimpiango il fricchettone barbuto e genuino del mio cuore, rimpiango il suo sguardo da pazzo e la bellezza disarmante di canzoni semplici come At the Hop. Riprendetevi questo damerino tanto ben vestito e ridatemi il vagabondo con i piedi scalzi e l'eyeliner!