Kurt Vile – Wakin On A Pretty Daze (Recensione)

Kurt Vile – Wakin On A Pretty Daze (Recensione)

2017-11-08T17:15:48+00:0010 Ottobre 2013|


Kurt Vile Wakin On A Pretty Daze cover
Il cantautore di Philadelphia torna con il suo lavoro piu' maturo e soddisfacente: tra echi di Neil Young e Lou Reed, e' facile perdersi in questo "piacevole stordimento".

8/10


Uscita: 9 aprile 2013
Matador Records
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Prendete una vecchia mustang polverosa proiettata verso il fascino della costa orientale degli States, sul cruscotto Vagabondaggio di Herman Hesse e solo una romantica solitudine adagiata sul sedile del passeggero: ecco adesso potete immaginare cosa potete aspettarvi dall'ultimo album di Kurt Vile, Wakin On a Pretty Daze.

Situato agli antipodi rispetto al suo predecessore (Smoke Ring For My Halo), l'ultima fatica del cantautore di Philadelphia ci consegna la sua anima più riflessiva ed errante. Semplice non è la parola giusta ma è la prima che viene in mente appena si scivola tra le 11 tracce che compongono la tracklist e si viene inondati dal calore di questo rock blues alla Neil Young, rinvingorito da un retrogusto amaro tipico del migliore Lou Reed. Wakin on a Pretty Daze fa riaffiorare nell'ascoltatore la voglia di "perdersi", di vagare nell'ignoto per riscoprire una parte di sè stessi che si pensava ormai persa e che invece si nasconde in molte parti del disco, a partire dagli arpeggi folk-blues di Too Hard, otto minuti e quattro secondi di venature oniriche e maledette alternate ad una frastornante stroboscopia psichedelica.

L'album nella sua architettura essenziale riesce a far digerire anche pezzi di oltre sette minuti come se ne durassero due. Capita ad esempio con la title-trackche apre le danze e scorre incantata senza farci accorgere dei suoi quasi dieci minuti di divagazioni; tutto fluisce così diretto e profondo, che le successive KV Crimes e Was All Talk sembrano quasi formare un tutt'uno nelle loro forme sinuose e malinconiche. Questo sublime preludio introduce Girl Called Alex, che ci avvolge con il suo sound profondo e inquieto accostato ad una voce sussurata che aggiunge mistero e fascino, mentre Kurt si diletta a giocare con assoli accennati e portati al limite della risonanza; mirabile la chiusura del brano con un cambio di tempo inaspettato, che ravviva il ritmo tutto sommato abbastanza letargico dell'intero album.

A seguire Never Run Away rompe gli indugi grazie ad un mood più intenso sottolineato da un cantato molto immediato, che prosegue anche in Pure Pain, dove si concentra a mo' di sommario tutto il costrutto armonico dell'album. Il rock torna invece protagonista in Shame Chamber, che fornisce valore aggiunto alla seconda parte del disco, mentre Snowflakes Are Dancing è l'anello di congiunzione con Smoke Ring For My Halo, carica di retaggi di trip Floydiani. Infine Air Bud e Goldtone congedano gli ascoltatori in un commiato lungo e fluttuante, realizzato con un rock d'annata pregevole, ritmi cadenzati e necessaria nostalgia della musica che fu.

Quando siamo ormai nell'incedere autunnale che decreta l'ultimo passo del 2013, Wakin On a Pretty Daze sembra non temere troppo le uscite che si sono susseguite in questi mesi e quelle previste per la fine dell'anno, candidandosi di diritto tra i migliori dischi di quest'annata, forte del suo amarcord ammodernato ai giorni d'oggi.